L’Eco di Roccasecca - Anno 21 - n-ro 100
Qualche tempo fa, Vincenzo faceva una riflessione su quei luoghi in cui ci troviamo a capitare per caso e che suscitano in noi un interesse, a volte immediato, altre volte “successivo”, che ci spinge a tornarci di nuovo. Il mio “amico d’infanzia” ha denominato questi posti i “Porti nelle nebbie”, una definizione che mi è piaciuta subito, prima di tutto perché mi ricorda il titolo di uno dei più bei romanzi di George Simenon, “Maigret e il porto delle nebbie”, in secondo luogo perché, man mano che andava sviluppando il suo racconto, mi conquistava, proprio come mi hanno sempre conquistato i libri con Maigret protagonista. Se non sapessi che Vincenzo non è un grande appassionato di letteratura francese a sfondo psicologico- poliziesco potrei pensare che nel narrare certi episodi sia stato influenzato da tali letture, ma conoscendo bene i suoi gusti posso garantire l’assoluta autonomia ed originalità dei suoi scritti. Trovo eccellenti le descrizioni di locali poco conosciuti, spesso isolati, ambienti semplici con poche concessioni ad elementi “moderni”, varia umanità che si muove quasi al rallentatore. In effetti sembrano proprio le atmosfere in cui ama trovarsi, pigramente, il vecchio Maigret: il massiccio commissario entra, osserva con calma la situazione, si muove lentamente, quasi a non voler disturbare l’atmosfera del luogo, ordina qualcosa da bere, si siede, si guarda intorno, ben presto si trova perfettamente integrato con il resto dell’ambiente. Ma è tempo di terminare le mie considerazioni personali e di lasciorvi in viaggio con Lorino. (ndr)   C’è stato un lungo periodo della mia vita in cui ho navigato come i natanti nella nebbia. Senza punti di riferimento, senza carte nautiche e senza bussola. Un periodo lungo, anche angosciante, ma che mi ha dato un’esperienza di vita che non avrei mai potuto imparare diversamente. In questo navigare a vista mi sono imbattuto senza esserne troppo convinto in quelli che io chiamo I PORTI NELLE NEBBIE. Quando si procede senza un programma prestabilito e senza particolari attese per il futuro, si comincia a prendere in considerazione una parte di quello che ci circonda, che la nostra vista e i nostri sensi in un altro momento forse non percepirebbero. O, più semplicemente, ci sono momenti in cui ci troviamo a notare certe piccole cose, altrimenti non considerate in periodi vissuti con ritmi più pressanti. Cominciamo questo viaggio, dunque. Capitavo spesso per lavoro e per altri motivi dalle parti di Ceprano e normalmente la via più breve e spicciativa per arrivare a destinazione è la Casilina. Ma a volte andare da qualche parte non significa “voler” arrivare presto anzi certe volte ci si rende conto che non si vorrebbe arrivare mai. E allora senti che il piede sull’acceleratore è leggero, si mettono le marce lentamente si guarda l’orologio sperando che rallenti, si pensa a qualche imprevisto, quasi sperando di saltare l’appuntamento. Poi ti accorgi di essere comunque arrivato, che tutte le fantasie si sono disciolte, e torni con i piedi per terra. Riflettevo proprio su questi aspetti quando, un giorno, decisi di allungare il percorso, anche se di poco, quel tanto che bastava per ricaricarmi un poco. Pensai così di prendere la strada che passando per la diga di S. Giovanni Incarico e poi per Isoletta mi avrebbe portato sì a Ceprano ma in un lasso di tempo più lungo. E così, percorrendo quella deviazione mi trovai ad Isoletta: quattro case, una chiesa, pochissime persone in giro; era per me un posto nuovo, una “scoperta”, resa ancor più sorprendente dal
fatto che in fondo mi trovavo a pochi chilometri da casa, ma non mi ero mai trovato a passarci prima! Ci arrivai una mattina d’inverno, con la nebbia che da quelle parti non manca di certo, e sentii il bisogno di fermarmi, di prolungare quel sottile  piacere, misto a curiosità e gioia per aver trovato un luogo che appariva bellissimo ai miei occhi e al mio animo. Entrai in un bar, che definirlo tale era un vero complimento, ma per me andava bene così. Appena entrai mi colpì la miscela di odori - fra l’amaro dei caffè e il dolce delle brioche – ed il parlare allegro di gente che prendeva un piccolo riposo. Passai dalla fredda nebbia esterna al vapore all’interno del bar. Rimasi un po’ in attesa, gustandomi quel momento, poi il proprietario inquadrandomi come nuovo cliente mi offrì un caffè sperando, come lui stesso mi disse, di annoverarmi fra i suoi clienti futuri. E fu cosi che cominciai a frequentare il bar di Gino ad Isoletta, il mio primo vero porto nelle nebbie. Quel bar divenne il porto dove ogni tanto attraccare nel mio piccolo girovagare; mi fermavo a respirare quegli odori, a nutrirmi di “niente”: chiacchiere di gente ignota che cominciava a diventarmi familiare, discorsi senza valore, a volte senza senso, commenti su avvenimenti sportivi o su altri tipi di notizie, belle, brutte, locali, internazionali. Alcune volte mi fermavo a parlare con Giovanni La Bella di San Giovanni, habitué del bar e profondo conoscitore della politica locale e nazionale, un uomo molto colto nella sua semplicità e soprattutto di modi signorili. Quello stesso posto, d’estate, soprattutto di domenica, si riempiva di gente rumorosa e vociante ai tavoli sotto la grande pergola di vite rampicante e di liquidambar in fioritura. E io sguazzavo in questo vociare: era la mia piccola ricompensa insieme al cappuccino e alle brioche, che buttavo giù con gusto. Quei pochi minuti mi aiutavano ad affrontare la vita che allora non mi sorrideva ma che in quel bar diventava meno pesante e più sopportabile. Ricordo che ogni scusa era buona per parlare di quel posto e sfruttavo ogni occasione per portarci qualche amico - ricordo Riccardo e Angelo, tra i tanti – cercando di trasmettere anche ad altri le mie stesse emozioni.Poi per fortuna la vita prosegue, cambia come cambiamo noi, come è cambiato il mio stato d’animo e come è cambiato anche il Bar di Gino a Isoletta. Ora è diventato una Pizzeria/Bar, la pergola non c’e più, al suo posto troneggia un grande gazebo. D’estate c’è l’aria condizionata e d’inverno il riscaldamento sempre acceso ha tolto qualcosa a quell’atmosfera di un tempo. Anche Gino è cambiato, d’altronde accusa i tanti anni passati dietro quel bancone e tante volte d’inverno quando capito lì sta vicino al camino a recuperare qualche minuto di sonno. L’ultima volta sono capitato in tarda mattinata, una di quelle dove la nebbia si taglia con il coltello. Nell’entrare ho visto Gino appoggiato al camino a dormire. Ho accennato un sorriso, poi capendo che non mi aveva sentito sono uscito senza disturbarlo, mi dispiaceva svegliarlo, sarà per una prossima volta. Vincenzo  
PORTO DELLE NEBBIE
(Vincenzo dal n-ro 45 aprile 2004)
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dal film “Porto delle nebbie”