Leggende

Metro-Roccaseccane (2)

Come sapete, se avete letto "L’Eco di Roccasecca" numero 20 stiamo proponendo una serie di articoletti intitolati "LEGGENDE METRO-ROCCASECCANE", in quanto, nelle parole dell’ideatore di questa rubrica, l’amico Angelo Scienziato, "da quando Roccasecca è diventata città si può parlare di Metropoli o forse è meglio continuare con qualche radice legata alla campagna? A volte i giochi di parole vengono da soli. Non avevo pensato assolutamente al collegamento radice /campagna ma visto che ci siamo…"

 

 

Ecco dunque la nuova storia, raccontata in prima persona dal nostro caro Angelo.

BREVE CARRIERA DI UN "FOTOAMATORE" A … PEDALI

Questa volta narriamo un’altra situazione stile quella del mio ritorno da Singapore di cui sono stato protagonista (già narrata sull’Eco). Caso vuole che la scena sia stata quasi sempre la stessa : il piazzale retrostante la stazione. Ciò è anche plausibile se si pensa che anni fa quel posto era il punto di riferimento sociale dello "Scalo".

Ero militare a Barletta e per ottenere un permesso di qualche giorno e stare il meno possibile al CAR mi inventai fotografo quando in realtà ero solo un fotoamatore (poi tolsi anche le prime quattro lettere di questa parola e con l’età credo che la cancellerò del tutto) .

Comunque allora mi iscrissi ad un concorso fotografico bandito in caserma ed ebbi circa quattro giorni per venire a casa a selezionare e portare là le opere da presentare. Il colonnello nel firmarmi il permesso mi diede anche dei rullini di famiglia dicendomi di svilupparglieli a prova che ero quel che asserivo di essere. In realtà capivo benissimo che sfruttava la situazione per farsi sviluppare gratis le sue foto. La transazione però era per me conveniente e quindi accettai di buon grado. A Roccasecca sorse pero' il problema di come sviluppare le "sue" foto visto che avevo l’attrezzatura per ingrandire, stampare, sviluppare, etc su a Torino (avevo ancora 24 anni e lavoravo all’interno della Fiat-Avio) .

Apro una parentesi per ricordare che ero partito militare di nascosto ed ero tornato dopo pochi giorni (in genere non si vien via dal CAR prima di 35 giorni), appunto in occasione del ritiro di tali foto e con i capelli lunghissimi (cosa per i lettori dell’Eco e per chissà quanti altri ben difficile da immaginare).

Chiesi aiuto a Carlo D.S., il quale non era ancora il nababbo attuale ma muoveva i primi passi nella scia della tradizione familiare. Allora aveva il suo studio sotto casa dei De Camillo, subito dopo quello che è ora il famigerato bar Ceccanese. Questi però a quei tempi non aveva ancora cominciato a gestirlo e mi pare che il titolare fosse ancora un certo Peppe Canceglie. Lui mi sviluppò e stampò il tutto ma il tempo stringeva ed io dovevo ripartire la mattina successiva . Le foto erano ancora bagnate e lui a quei tempi non aveva le attrezzature automatiche di cui dispone ora. Bisognava ancora appenderle ad asciugare. Pertanto decisi di farlo da me lasciandole tutta la notte attaccate alle piastrelle del mio bagno. Per evitare che si attaccassero durante il trasporto , ero in bici, le misi dentro un secchio pieno d’acqua. Il tragitto dalla stazione al "quartiere" Ponte non è eccessivo ma riuscii ad incontrare almeno una decina di persone. Nessuna evitò di chiedermi cosa portassi nel secchio sulla bici e nessuna volle credere se non dopo aver guardato che fossi andato a ritirare delle foto in un modo per loro così bizzarro. Nessuno mi credette prima di aver verificato con ..occhio.

Capii sin da allora che la fiducia riposta in me da parte dei vicini e compaesani vari era ben misera e che la mia reputazione si stava sfaldando sempre più.

 

Angelo posa di fronte ad alcuni mezzi di trasporto. Non è dato sapere se prefe- risce la "rossa" o la "bici", come quella utilizzata nell’avventura narrata per voi.

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