Canti popolari in Ciociaria

LA TRADIZIONE ORALE

(parte prima)

Suonatore di organetto (Veroli)

Il nostro amico Gianfranco, abilissimo strumentista, cantante, maestro di chitarra e, soprattutto, grande appassionato di Musica (con la M maiuscola), ci propone una panoramica accurata e molto approfondita dei "Canti popolari ciociari". In particolare, in questa prima parte del lavoro (che verrà pubblicato a puntate), si sofferma su una delle caratteristiche di questo tipo di canti, e cioè la "tradizione orale". Tramandare oralmente storie, aneddoti, parole, usi e costumi, lo sappiamo bene, fa parte della nostra stessa tradizione, è uno dei tanti modi di perpetuare aspetti differenti di ciò che globalmente rientra sotto la definizione di "cultura". Nel campo della musica e dei canti, questo aspetto assume un significato ancora più evidente, in quanto il semplice atto di aprire la bocca e di farne uscire delle strofe cantate, dà immediatamente l’effetto della musicalità che si tramanda di persona in persona. Può essere modificata una parola, o un’intera strofa, ma il canto perpetua la sua vita attraverso gli anni, da una generazione all’altra.

 

 
Ricordo che tanti anni fa parlavo con mia nonna e mio nonno, contadini, delle canzoni che loro cantavano da giovani. Era il periodo che andava molto di moda la musica popolare ed io, solleticato dalla stessa curiosità di tanti, andavo riscoprendo le mie radici, e quale miglior modo di farlo se non con quei due personaggi che facevano parte della mia stessa vita? All’epoca avevo trovato un libro del Colacicchi che parlava dei canti popolari di Ciociaria; sul quale per ogni canto veniva riportato il paese dove era stato raccolto. Verificavo, soprattutto con mia nonna, i canti provenienti da Pontecorvo e da Roccasecca. Le feci poi ascoltare un canto di Sora, chiedendole se lo conoscesse. Mi rispose di no.

Il canto faceva cosi’ :

Suonatori a Roccasecca (foto Gigione)

 
Me l’ha ditto ne signore

Che mannaggia chi se’ nsore

Chi le pensa le nsura’

Ca la moglie ci ha da fa

Che la moglie e’ na catena

Non se po’ piu’ scatena’.

Ohi oh li, ohi oh la

Mo’ te racconto come va.

 

 

Mesi dopo passando in cucina l’ho sentita cantare quel canto con il testo preciso preciso.

Impossibile, pensai a mente mia. Eppure mi dovetti arrendere alla realtà. Pensai anche: "si è vero che lei ha una memoria di ferro, ma questo non basta a spiegare il tutto". Alla fine la spiegazione che ne diedi era che lei, abituata a mandare a mente tutto quello che sentiva, era allenata a farlo come chiunque fosse abituato ad essere veicolo di tradizione orale e a dover ricordare bene, se voleva tenere da conto il suo piccolo tesoro di cultura. Un po’ come gli uomini-libro di quel famoso film di fantascienza. Da lì ho capito che chi ha uno spartito davanti difficilmente riesce a ricordare a memoria un pezzo musicale e che chi recita una poesia leggendola dal libro difficilmente riesce a mandarla a mente.

 

Suonatori a Roccasecca; tra loro anche il nonno di Gianfranco (foto Gigione)

Quanno gli ome ha misso gli baffe

Ci abbisogna la mugliera

Non so’ modi e non maniera

Ca la femmina ce vo’,

Povere donne, povere donne

Pe glie puci la notte non dorme

Mo’ pe glie puci, mo’ pe glie guai

Povere donne non dormono mai.

Ohi oh li, ohi oh la

Mo’ te racconto come va.

 

Le persone stesse erano veicoli per la divulgazione di ogni genere di tradizione culturale. Come con il virus dell’influenza, c’era bisogno del contatto fisico per la propagazione.

 

Mo’ che giunta primavera

Ogni ceglio fa gli nido

Ogni donna vole marito

Ma non ce se po’ nega’.

 

Ohi oh li, ohi oh la

Mo’ te racconto come va

 

 

E la tradizione orale non è solo questo. E’ una cultura in continuo mutamento: si cambia una parola lì, s’aggiunge una strofa là, si cambia una cosa incomprensibile con una cosa comprensibile, ma lo spirito resta sempre lo stesso; cambia il testo, cambia la musica, ma la sostanza è sempre la stessa.

Esempio tipico è Maria Nicola, cantata in cento modi diversi in tutto il sud :

Te si fatta la permanete

Ne Marie’, ne Marie’

Te si fatta la permanente

Co gli soldi de gliu tenente

Ne Marie’ ne Marie’

Lassa mammeta e viene cu me.

 

Qui di seguito la versione raccolta dal Colacicchi nel sorano:

 

Te si fatte je riccie n’fronta

Chi te ‘ialliscia e chi te i’apponta

Pour’a tte Maria Neco’

Maria Necola mia

Chi te l’e’ fatte fa

Siue na bella pedecona

Te petiue mareta’

Te si missa la uesta roscia

Quante cammine te recunosce

Pour’a tte Maria Neco’

Maria Necola mia ….

A ie ponte ‘e Balzerane

Se te sciagura te ua mmane

Pour’a tte Maria Neco’

Maria Necola mia …..

Te si’ misse i’aneglie aa ie dite

Uatt’a refrega ch t’e’ marite

Pour’a tte Maria Neco’

Maria Necola mia ……

 

Nella versione del Colacicchi si può notare l’incontro dell’uomo di cultura ufficiale (maestro di musica ) con la musica popolare. Prima difficoltà: incanalare in una versione unica il canto raccolto, fotografandone la natura in un preciso momento, senza possibilità’ di cambiamento e secondo i canoni della musica ufficiale. Seconda difficoltà: tradurre i versi e gli umori della sua natura popolare; il verso "A ie ponte ‘e Balzerane Se te sciagura te ua mmane" viene tradotto con "Al Ponte di Balsorano se ti scivola ti va a male" e noi tutti sappiamo che il senso è un altro.

Ma comunque è difficile descrivere una cosa che muta, che è viva finché c’è qualcuno che la porta a mente e che la racconta a qualcun’altro. E quando muore l’ultimo depositario, va via anche quel pezzo di cultura. Ecco allora che l’opera dello studioso diventa importante per un ricordo storico.

(prima puntata)

G.M.