Filastrocche ciociare

Le filastrocche fanno parte di quel patrimonio tramandato oralmente che ci viene offerto dalle mamme e dai papà, dai nonni e dagli zii quando siamo piccoli, e che riaffiora ogni tanto negli anni successivi, soprattutto nel momento in cui un profumo o un sapore ci riporta all’infanzia. Questo patrimonio non deve andare perduto e l’Eco, nel suo piccolo, prova a dare un piccolo contributo. Tornano in mente quelle lontane serate invernali, accanto al caldo fuoco del camino, mentre fuori imperversavano il vento, il freddo e la pioggia. Ci tornano in mente quelle storie, quei racconti come "C’era ‘na vota ‘nu vecchie ‘ncoppa agliu monte, zitte, ca mò te la racconte!" che ci affascinava anche se non aveva una conclusione, o come "Zi’ Urticchie", personaggio della fantasia popolare protagonista della filastrocca che vi proponiamo nella versione rivisitata da A. Germani nel suo testo "Arrénneme gliu fazzelettone – Dizionario del dialetto di Colfelice, Arce e Roccadarce" del 1993. L’autore, nel presentare la filastrocca, illustra proprio l’ambiente della cucina, dove la famiglia era solita riunirsi non solo per mangiare, ma anche per scambiare quattro chiacchiere nelle giornate fredde e piovose.

"Sul fuoco si cuocevano le uova, le salsicce, il formaggio, le sarache, che prendevano sapore impareggiabile. Si bruciavano le bucce delle arance e pareva che nell’aria fosse stato sparso un profumo. Non tutti potevano permettersi di avere il fuoco, nelle sere d’inverno, e c’erano famiglie che si recavano a chiedere ai vicini un po’ di brace per scaldarsi e cucinare. Il gruppo familiare sedeva sullo scanne (in Arce scagne) e appoggiava i piedi sul focherile per scaldarsi. Nelle case accadeva ciò che accade oggi davanti alla televisione, con la differenza che il video impone un passivo silenzio, mentre allora la conversazione, favorita dal mite e benefico chiarore, era sempre animata. Accanto al fuoco acceso i contadini evocavano cronache di briganti, di animali immaginari (Zì Urticchie) quasi al limite tra l'universo di rischi ignoti e la sicurezza del gruppo familiare. Il semplice bagliore delle fiamme del focolare domestico era un comune mezzo di illuminazione".

Pensiamo che questa lunga citazione fotografi perfettamente l’ambiente in cui nascevano e si perpetuavano filastrocche come quella che pubblichiamo. Se mai qualcuno di voi ne conoscesse altre, provenienti da racconti familiari o da ricordi, vi preghiamo di inviarle all’Eco, anche se non le ricordate complete. Una volta sull’Eco, sarà tramandata per molti anni a venire.

 

Zì Urticchie

Séra i massèra

ncuntrai la iatta nera,

ieva carica de savecicce,

le purtava a Zi Urticchie.

Zi Urticchie nen ce steva,

ce stevene tre zitelle.

Stevene a’ ffà na frittatella,

me ne dìttene n’uccòne,

ch’eva bbona, ch’eva bbona!

Me ne dìttene n’ate ‘ccòne

Me scappà sotte agliu bancone;

gliu bancone eva cupe,

sotte ce steva gliu lupe;

gliu lupe era vecchie,

nen se sapeva refà gliu lette,

gliu lette steva refatte,

va gliu lupe e ce s’agguazza.