Le canzoni di protesta degli anni ’60 (prima parte)

 

 

C’è stato un periodo in cui il mondo musicale si è trovato, come mai precedentemente o successivamente, in sintonia con gli avvenimenti esterni, avvicinandosi alla realtà sociale e, particolarmente, ai movimenti giovanili degli anni ‘60. La "canzone", di solito mero prodotto alla moda di largo consumo, divenne, in molti casi, uno dei più alti canali di espressione di una intera generazione, Diceva l’estroso e indimenticato Frank Zappa: "Il concetto americano di gioventù presume che tutti i ribelli tornino prima o poi all’ovile, rientrino nel gregge. Ma noi, no. Non possono ignorarci. Anche se le idee che stanno dietro alla nostra musica non piacciono, la si deve ascoltare perché è dappertutto". Sono trascorsi più di trenta anni dalle prime rivolte studentesche che, partite dall'Università di Berkeley in California, si allargarono in Europa a macchia d’olio, ma quello spirito utopistico e quella particolare atmosfera che sembrava preludere a cambiamenti radicali in seno alla società occidentale non sono del tutto dimenticati. Le insurrezioni del ’68 e del ’69 nelle città universitarie furono di stampo prettamente politico-ideologico, ma da un punto di vista del costume e del mutamento sociale l’esigenza di cambiamento era già emersa negli anni precedenti. E la musica non era rimasta estranea o indifferente di fronte a queste crescenti richieste di cambiamento. In particolare fin dai primissimi anni ’60 il mondo giovanile era stato percorso da violente scosse determinate dal propagarsi di un nuovo genere musicale (denominato a più riprese "beat", "pop", "rock" etc.) caratterizzato da ritmi veloci e frenetici, dall’uso di strumenti elettrici, dall’avvento dei capelli lunghi e delle celebri minigonne, e, soprattutto, dai testi di molte canzoni che per la prima volta facevano "pensare" evitando le solite banalità ricorrenti. Beatles e Rolling Stones, dunque, ma anche Bob Dylan, Donovan, Joan Baez e tanti altri cantanti "impegnati", termine forse in disuso ma che all’epoca rendeva bene il concetto.

 

Pensiamo sia interessante, ma anche doveroso, rivisitare alcuni di quei testi (in particolare del periodo 1963-1970) che furono alla base di un certo tipo di protesta -–timidamente affacciatasi anche in Italia con qualche anno di ritardo – che spingeva ad abbracciare chitarre anziché fucili; canzoni in alcuni casi divenute immortali, in altri ingenue, in altri ancora ormai superate, ma sempre in qualche modo coinvolgenti.

E’ nostro intento proporvi i testi inglesi nella traduzione italiana, affinché raggiungano più persone possibili, sia tra coloro che le vissero in diretta, sia tra quanti, più giovani, le hanno conosciute soltanto a posteriori, o non le conoscono affatto. Indicheremo sempre il disco di riferimento e tutte le informazioni principali, stringendo all’osso commenti e valutazioni che ciascuno potrà fare per suo conto.

 

 

Non potevamo non cominciare con colui che è stato considerato il ribelle numero 1, colui che fin dai primi dischi scrisse pagine indelebili nella storia della musica di questo secolo, riuscendo a fare più danni con una chitarra acustica ed un’armonica che con un centinaio di bombe: Robert Zimmermann, alias Bob Dylan. Degno seguace di Arlo Guthrie, il folksinger americano che aveva scritto pagine indelebili nella sua lunga carriera di "cantante-vagabondo-attivista on the road" negli anni della Depressione, Dylan in realtà se ne discosta alquanto, diventando presto un "profeta" se non un idolo della propria generazione. Come scrive Maffi in "La cultura underground, vol.2: Rock, poesia, cinema teatro", (Ed. La Terza, 1980) "Dylan non era l’individuo che cantava l’esperienza d’un popolo o d’una classe sociale, ma l’individuo sensibilissimo agli avvenimenti socio-politici che canta le proprie poesie … Era Ginsberg in musica … In questo individuo la generazione di un certo periodo si riconobbe: il processo quindi fu invertito. Perciò Dylan divenne per un certo tempo l’ispiratore: funzione che nessun folk-singer o blues-singer ha in realtà mai avuto, perché il loro linguaggio, la loro vita, il loro messaggio era qualcosa che apparteneva a tutti, era l’esperienza di tutti; mentre quelli di Dylan divengono semmai ispirazione per tutti".

Lasciamo spazio ai versi, allora, pronti a soddisfare, nelle prossime puntate, vostre eventuali richieste.

Dal terzo album di Bob Dylan "The Freewheelin’ Bob Dylan", pubblicato nel lontano 1963, ecco due tra le sue più ispirate canzoni, di un’attualità a dir poco sconcertante, a quasi 40 anni di distanza.

 

 
 

Blowin’ in the wind (Soffia nel vento) – 1963

Quante strade deve percorrere un uomo

Prima di poterlo chiamare uomo

E quanti mari deve navigare una colomba bianca

Prima di addormentarsi sulla sabbia

E quante volte devono volare le palle di cannone

Prima di essere proibite per sempre

La risposta, amico mio, soffia nel vento

La risposta soffia nel vento

E quanti anni può esistere una montagna

Prima di essere spazzata verso il mare

E quanti anni possono esistere gli uomini

Prima di essere lasciati liberi

E quante volte può un uomo girare la testa

E far finta di non vedere

La risposta, amico mio, soffia nel vento

La risposta, soffia nel vento

E quante volte un uomo deve guardare in alto

Prima di poter vedere il cielo

E quante orecchie deve avere un uomo

Prima di poter sentire la gente piangere

E quanti morti ci vorranno prima che lui sappia

Che troppi sono morti

La risposta, amico mio, soffia nel vento

La risposta, amico mio, soffia nel vento

 

The Freewheelin’ Bob Dylan, 1963

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Masters of War (Padroni della guerra) - 1963

 

Venite padroni della guerra

Voi che costruite i grossi cannoni

Voi che costruite gli aeroplani di morte

Voi che costruite tutte le bombe

Voi che vi nascondete dietro ai muri

Voi che vi nascondete dietro alle scrivanie

Voglio solo che sappiate

Che posso vedere attraverso le vostre maschere

Voi che non avete mai fatto nulla

Se non costruire per distruggere

Voi giocate con il mio mondo

Come se fosse il vostro piccolo giocattolo

Voi mettete un fucile nella mia mano

E vi nascondete dai miei occhi

E vi voltate e correte lontano
Quando volano le veloci pallottole

Come Giuda dei tempi antichi

Voi mentite ed ingannate

Una guerra mondiale può essere vinta

Voi volete che io creda

Ma io vedo attraverso i vostri occhi

E vedo attraverso il vostro cervello

Come vedo attraverso l'acqua

Che scorre giù nella fogna

Voi caricate le armi

Che altri dovranno sparare

E poi vi sedete e guardate

Mentre il conto dei morti sale

E voi vi nascondete nei vostri palazzi

Mentre il sangue dei giovani

Scorre dai loro corpi

E viene sepolto nel fango

Avete causato la peggior paura

Che mai possa spargersi

Paura di portare figli

In questo mondo

Poichè minacciate il mio bambino

Non nato e senza nome

Voi non valete il sangue

Che scorre nelle vostre vene

Che cosa so io

Per parlare quando non è il mio turno

Direte che sono giovane

Direte che non so abbastanza

Ma c'è una cosa che so

Anche se sono più giovane di voi

Che perfino Gesù non perdonerebbe

Quello che fate

Voglio farvi una domanda

Il vostro denaro vale così tanto

Vi comprerà il perdono

Pensate che potrebbe

Io penso che scoprirete

Quando la morte esigerà il pedaggio

Che tutti i soldi che avete accumulato

Non serviranno a ricomprarvi l'anima

E spero che moriate

E che la vostra morte venga presto

Seguirò la vostra bara

Un pallido pomeriggio

E guarderò mentre vi calano

Giù nella fossa

E starò sulla vostra tomba

Finché non sarò sicuro che siete morti.