Appunti di viaggio in Ciociaria
(sesta fermata)
Festa di San Rocco a Patrica
Panorama di Patrica |
Siamo giunti alla sesta puntata della pubblicazione dei vecchi articoli che descrivono esperienze di viaggio in paesi ciociari. Ricordiamo che se qualche lettore volesse inviarci la sua "gita in Ciociaria", la prenderemmo senz’altro in considerazione.
Da "Strenna Ciociara 1966" a cura della "Associazione tra i Ciociari", il ricordo di una giornata a Patrica.
Ma sarà stata grande ancora la festa di San Rocco a Patrica? O non è più !a festa nazionale dell'anno patricano, non è più la celebrazione d'un rito magnifico che aveva il fascino della devozione ma anche il fasto dell'allegria popolana. Forse non è più che una tradizionale apoteosi del santo patrono, un esercizio sbrigativo di pietà, una domenica più fervida delle altre per la processione a mezzogiorno.
Ma ogni 16 agosto era se stessa che festeggiava la gente di Patrica: con tanto mangiare e bere e starsene per le strade e in piazza a godersi ciascuno lo spettacolo che tutti gli altri davano di sé, commossi al passaggio del Santo, spensierati al suono della banda e allo scoppio dei fuochi artificiali. Non soltanto i giovani erano accesi dalla vista di ragazze fiorenti e passionali.
Mandavano dollari e dollari i patricani dall'America, fioccavano lire nelle borse della questua di quella data.
C'era una settimana di vigilia con lo scampanìo ogni sera che diffondeva un delirio e una smania anche nelle contrade più remote. Le sarte continuavano a cucir gonne e camicette per le ragazze che avevano scelto stoffe rare, ciascuna alla insaputa dell'altra voleva essere la sola con quel colore e quel disegno, scoppiavano gelosie per il segreto inviolabile e rancori per l'imitazione compiuta.
Chi ricorda Arcangelo? Come può raccontarsi la potenza dei suoi mortaretti che al primo scampanìo dell'alba si stappavano in aria con una violenza fumante di scoppi a ripetizione? A suo modo, che era un modo legittimo di dinamitardo, egli faceva tremare terra e cielo una volta all'anno, da quel punto che era la chiesetta di San Domenico, dando fuoco alle micce, proprio col gesto di Pietro Micca e rimanendo incolume a lodarsi le detonazioni strabilianti che sbrecciavano sulla cima dei boschi per spalancare un'immensa porta al giorno della festa. Ma con quella corrusca trapanazione di cielo che faceva saltare i pigri dal sonno e sempre sgomentava grandi e piccoli, aveva inizio la solfa martellante di due tamburini: a passo militare battevano ogni strada stanando dalle case frotte di ragazzi e scalmanandoli al loro seguito, come una truppa disordinata e vociante, che solo i clangori delle trombe appena sopraggiunte riuscivano a sedare.
Patrica: Fontana del Padre Secchi |
Non erano nemmeno le otto del mattino, dalle case esalavano gli aromi delle cucine, alle finestre ed alle porte donne d'ogni età discinte e spettinate, altre freschissime e ingioiellate sfaccendavano in mezzo alle bancarelle della fiera che lungo i muri e negli spiazzi facevano caravanserraglio a mille colori di oggetti e di stoffe.
Anche l'aria era a mille colori di piuma carezzevole e il verde rugiadoso dei castani straripava dovunque tra i frutti d'ogni specie vivi e fragranti che traboccavano dai canestri; e la gente sana e pulita s'affollava con una parità, e una parentela e una concordia spinte fino all’arroganza della salute e dell'ardore, e che urgenza al petto e agli occhi veniva dalla vita. Poi era l'uscita delle ragazze per la messa cantata, sbucavanci dai vicoli e risalivano le scalinate con un foga di ballerine esilarate.
Nella folla che ormai occupava ogni spazio, esse spiccavano non tanto per la vivacità che era la medesima nei colori delle camicette e delle gote, quanto per la movenza aitante e amabile delle spalle e delle teste che trascorrevano abilmente mostrandosi e insieme rivelandosi, rimescolando desideri e progetti in giovani e vecchi; l'una in gara con l'altra in quell’improvvisato concorso di bellezza che continuava fin dentro la chiesa ardente per le fiamme delle candele e della gente.
Lo stesso sfarzo di salute era nelle donne più anziane, pur esse entravano in gara con le più giovani: la solennità delle forme e degli abiti antichi, il rosso dei coralli e i pesanti orecchini restituivano non so che di barbarico accento alla giovinezza bruciata, e ancor vispa negli occhi riderelli delle vecchie.
Erano proprio queste indomite matrone con lo splendido e lentissimo declino dell’età. a promettere la più durevole resistenza delle giovani a qualunque fatica, una validità oltre i limiti del naturale isterilimento.
Nella gran pompa che insieme facevano vecchie e giovani con quei voluminosi ceri istoriati che ardendo continuavano a lagrimare sul selciato, la processione diveniva una superba sfilata di madri antiche, nuove e future, un campionario smagliante di generazioni senza fine.
Subito, innanzi a loro e su due file, andavano almeno un trenta giovanotti brucianti, in veste bianca e mantelletta di confraternita, a braccia conserte: attendendo il turno di sostituirsi all’ugual numero dei compagni che frattanto sostenevano sulle spalle la macchina folgorante d'oro, con San Rocco pellegrino piagato e il canuccio dalla pagnottella.
Erano giovanottoni dal profilo d’Apollo e dalle spalle di Atlante, con occhiate da stordire ragazze schive e rischiose.
Lo stesso campionario di salute e di forza veniva ripetuto dai patriarchi che, su due file e nelle stesse vesti, anch'essi fieramente inattaccabili dagli acciacchi dell'età, procedevano solenni e vigorosi: le rughe non erano che tagliuzzi dispettosi del tempo, quasi una scrittura non tanto indecifrabile infine, restava un umore di malizia negli sguardi logori.
In ginocchio, alla processione |
I1 clero osannante, le figlie di Maria giovinette aspre e mordenti, la banda sgargiante negli strumenti e nelle musiche, in testa a tutti sfrecciavano ragazzini infernali, alle finestre pavesate di preziose coperte stavano donne in lagrime: attraverso strade strettissime e per scalinate interminabili la processione passava dovunque, per due ore quel sacro cafarnao faceva delirio e sommossa e clamore, il rifiato continuo dell'afa alitava insieme al rifiato della folla e dei ceri, l'aroma delle cucine stravinceva quel bollore.
Sarebbe lunga la cronaca: dal banchettare ai giuochi popolari della cuccagna e della corsa nel sacco, dall'estrazione della tombola alla musica in piazza, dalla luminaria ai fuochi artificiali con la sorpresa dell'arrotino che finiva per volarsene in cielo e la bomba finale, tremenda come un memento impietoso dopo un giorno interminabile di spasso e di oblio.
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Donne ciociare in costume tradizionale
Tanto spettacolo m'è ritornato agli occhi e in cuore per un poemetto «A festa du San Rocco» nella saporita e pungente parlata di Patrica, che nel dialetto ciociaro fa spicco per la cadenza brusca e l'accento perentorio, in cui non è difficile cogliere residui di classica ironia; e l'ha scritto Erminio Bufalini, un generale nientemeno, per nulla incallito nella carriera del soldato.
Sono versi traboccanti da un vocabolario succolento che rifà vive e tumultuose le persone trascorse nella loro storia come protagonisti di una festa ormai ferma nel tempo della favola.
Par di risentire a una a una le voci dei paesani risorgenti dal remoto a passo di saltarello e sono essi, tutti quanti, che mi trascinano da un punto all'altro, da una soglia a una finestra, a una piazza, a un orto io stesso ombra tra le infinite ombre che al tempo dell'infanzia erano presenze sgargianti in quel giorno di San Rocco, che è sempre la festa nazionale di chi ne vive lontano.
(fine della sesta puntata)