Torniamo a pubblicare alcune manifestazioni popolari
tradizionali dei comuni della Ciociaria, come già facemmo sul famigerato numero
17, tuttora uno degli arretrati più gettonati, anche sulle pagine Internet. Per
le fonti orali ringraziamo le tante persone anziane che ci hanno gentilmente
voluto aiutare, per quelle scritte citiamo l’Almanacco di Ciociaria di
E. Ricci (1978), Strenna Ciociara (1966) e Ciociaria (1957).
Tradizioni popolari ciociare
San Giuseppe e le frittelle
La festa di San Giuseppe (19 marzo), festeggiata in tutta
Italia soprattutto come "Festa del papà", con tutto il contorno
consumistico che sembra ormai inevitabile in simili occasioni, in Ciociaria
assume ulteriori e particolari significati. Questa ricorrenza è entrata nella
tradizione popolare nel senso della purificazione, motivo che induceva le
ragazze da marito ad invocare il Santo, e del soccorso, da cui la
tradizione di offrire frittelle ai forestieri.
Per decenni si è tramandata l’usanza, soprattutto nelle
zone montane della Ciociaria, di accendere grandi fuochi con cataste di legna,
sui quali saltavano i più giovani nel momento in cui le fiamme perdevano la
potenza iniziale.
Nella cittadina di Itri la tradizione voleva che le vecchine
filassero la lana davanti a falò e, a tarda sera, i ragazzi gettassero parte
della lana nel fuoco. In tale occasione era lecito addirittura interrompere l’austerità
della Quaresima, per consentire alle coppie un ballo durante il quale il giovane
pretendente offriva un mazzetto di viole alla ragazza prescelta; il gesto di
appuntarlo sul cuore da parte della fanciulla era segno di interesse ricambiato.
La tradizione dell’offerta delle frittelle in Ciociaria
risale invece al periodo medioevale, precisamente dalla Corporazione dei
falegnami. L’atto simboleggiava il soccorso al forestiero, in riparazione dell’ingiustizia
patita dal loro Santo Protettore, quando, con Maria prossima al parto, non aveva
trovato aiuto da parte di nessuno.
Tradizioni popolari ciociare
Calendimaggio a Ferentino
Il primo maggio, fin dall’antichità, è stato un giorno
riservato ai riti di propiziazione della maturazione dei frutti della terra, ed
agli auspici di un abbondante raccolto. Già nell’antica Roma si celebravano
le "Ambarvalia": durante la giornata del 30 aprile venivano pulite e
lustrate case, stalle e ovili. La festa poi durava tutta la notte, con le case
illuminate da fiaccole poste sui davanzali delle finestre e grandi falò accesi
nelle aie.
Il primo maggio si usava offrire ai poveri ciambelle fatte
con farina e noci.
Al tempo di Traiano, nel secondo secolo dopo Cristo, ebbe
inizio una tradizione secolare in quel di Ferentino. Aulo Quintilio, Quaterviro
per l’edilizia, per la giustizia e Prefetto dei fabbri, pensò di mettere da
parte un fondo annuo per la ricorrenza del primo maggio. Acquistò alcuni fondi
demaniali e li lasciò per testamento al Comune di Ferentino. Singolare il modo
in cui detto lascito venne scritto: le volontà di Aulo Quintilio furono incise
su una grande pietra nelle adiacenze di Porta Casamari. Veniva stabilito che le
rendite dei suddetti fondi demaniali, ammontanti a quattromila sesterzi annui,
fossero distribuite ai cittadini bisognosi in denaro, focacce e vino. Con le
rimanenze annuali, la Curia degli Edili doveva elargire trenta moggi di noci e
sei urne di vino ai ragazzi di Ferentino, senza distinzione di censo.
La festa fu perpetuata anche nella successiva età cristiana,
ed il Vescovo di Ferentino pensò bene di sostituire l carattere orgiastico
della solennità pagana, con la devozione per il Santo Patrono. All’antica
usanza fu unito l’anniversario del martirio di Sant’Ambrogio, il centurione
romano fatto decapitare da Daciano nel 308 a Ferentino, durante le persecuzioni
ordinate da Diocleziano. A Ferentino, il primo maggio si festeggia dunque anche
la festa patronale di Sant’Ambrogio.

Il testamento di Aulio Quintilio inciso sul muro
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