Luca Di Ruzza racconta

le Fiabe Ciociare

 

Abbiamo già parlato, sia pur brevemente, sul numero 27, del libro del compaesano Luca Di Ruzza sulle Fiabe Ciociare. Le favole in questione sono state pubblicate sia in dialetto (con note esplicative molto approfondite) sia nella traduzione italiana. In questa duplice veste ve ne presentiamo una in questa occasione.

Prima quindi potete leggere la storia come è stata tramandata in dialetto (con le note più interessanti che inseriamo per comodità tra parentesi e non a fine fiaba), di seguito potete apprezzare la versione in italiano. Ricordiamo che la parte in vernacolo del libro è tratta da "Saggio di novelline canti ed usanze popolari della Ciociaria" di G. Tarzoni Tozzetti (1974).

Come ricorda l’amico Fernando Riccardi nell’introduzione al testo "grande merito del Di Ruzza è stato quello di riproporre questo particolare linguaggio che, a dispetto delle apparenze, conserva un’attualità ed una validità sorprendente: ancora oggi infatti non è possibile tradurre correttamente e con la stessa incisività, alcune tipiche espressioni ciociare".

 

 

 

Gli du'cumbaru

'Na vota ci stevunu du cumbari; unu du chisti facivu gli scarparu

 

I due compari

C'erano una volta due compari; uno di loro era calzolaio. Un giorno l'altro compare disse al calzolaio:

 

(* nei sostantivi che esprimono il soggetto di un mestiere - vasaio, vetraio, salumaio – il romanesco e le aree circostanti, tra cui anche la Ciociaria, la sillaba finale IO si trasforma in RO – vasaro, vetraro, salumaio).

 

Na dì chigli atru dicivu agli scarparu:- Cumbà, vi' 'n po' da farumu 'nu patu du scarpu, ca doppu tu pagu a austu*.

 

"Compare, vedi un po', cerca di farmi un paio di scarpe, ché dopo ti pagherò in agosto."
(* Francesismo. Agosto è per i Romani il mese di Augusto. Latino AUGUSTUS>francese, forma sincopata AOUT)

Gli cumbaru accunsuntivu, ma passavu austu, i gli quadrinu nun su vudirunu. Chisti birbonu, pu' vudè accummu la punseva cumbà scarparu, facivu vudè 'na dì ca su murivu. Andannu gli scarparu, cummu sunteva la dusgrazia, ivu a truvà la cummaru, doppu cu l'ebbu cunsulata ci dicivu:

- Cummà, cu gli cumbaru ci steva 'na còsa da dì, pu 'nu paru du scarpuni, cu mo' su lu porta begli du là agli atru munnu.

La cummaru ci ruspunnivu:

- Dusgrazia è ca s'ha mortu issu, ma a chestu ci pens' iè, cumbà.

- Bè, andannu, fa'tu, cummà - rudicivu gli cumbaru ruiennusu. Accusì gli pòru mortu, facivu vudè ch'era mortu, ma era più vivu!... Gli purtarunu alla chiesia. Vidi 'n po' cu punsevu chigli futtutu du scarparu? Quannu arrivavu la notti su schiaffavu drentu a 'nu cunfissinariu aspettennu cu su nu ruissuru tutti pu caccià gli scarpuni agli cumbaru i rutollasellu. Addrumentu steva runsurratu drentu a chigli cunfissinariu, senza mancu punsà ca ci steva la scummunica* a stà runsurratu allocu drentu!

 

 

 

11 buon compare acconsentì, ma passò agosto ed i quattrini non si videro. L'altro birbante, per sondare come la pensasse il compare calzolaio, finse un giorno di esser morto. Allora il calzolaio, udito della disgrazia, si recò a trovare la comare, e dopo che le ebbe porto il suo cordoglio, le disse:

"Comare con il compare c'era una cosa da risolvere, riguardo ad un paio di scarponi che ora si porterà nell'aldilà, nell'Altro Mondo."

La comare gli rispose:

"E’ una disgrazia che lui sia morto, ma a questo penso io, compare."

"Bene, allora mi affido a te, comare" – aggiunse il compare congedandosi.

Così il povero falso morto continuò a fingere di esser morto, ma era più vivo e vegeto che mai! Il falso feretro fu condotto in chiesa. Guarda un po' cosa escogitò quel fottuto calzolario! Sopraggiunta la notte egli si introdusse in un confessionale attendendo che il pubblico se ne andasse via con l’intenzione di sfilare le scarpe al compare e riprendersele. Frattanto se ne stava rinserrato dentro quel confessionale, incurante della eventuale sanzione della scomunica per chi osasse profanare quel luogo.

 

 

(*Atteggiamento da paganesimo e fariseismo. L’entrare nel confessionale, di per sé fatto innocuo, assume per i fedeli bigotti un significato che va al di sotto della spiritualità, vera originale peculiarità del Cristianesimo, divenendo un rito ed un divieto tautologico e fuori programma. Logisticamente la minaccia di scomunica era stata addotta ad evitare che si verificassero confusioni tra estranei e sacerdoti).

 

Mersu mesanottu, quannu vulivu ‘sci’ a rutolla gli scarpuni agli cumbaru, vudivu ‘ndrà tanti brigandi*, cu su ievunu a spartì i quadrini drentu alla chiesia: andannu issu s’acchiattavu accummu ‘na marachella allocu drentu.

Verso la mezzanotte, quando decise di uscire dal nascondiglio per riprendersi i suoi scarponi, vide entrare un gruppo di briganti, che venivano lì in chiesa per spartirsi i loro bottini. Allora persistette nel suo nascondiglio rimpicciolendosi ulteriormente come un’alicetta.

 

(* L’immaginario collettivo spesso si consente evasioni sul genere macabro o sull’horror. Affascinanti allo scopo dell’interessante inverosimile sono le storie di fantasmi che provocano un piacevole brivido estetico. Spesso il fantasma o il mostro è sostituito dai briganti e l’ambientazione in tal senso della nostra favola ci fa sospettare che essa sia stata concepita o raccontata secondo adattamenti recenti, in concomitanza col fenomeno del brigantaggio nel Meridione italiano. Il seguito della nostra fiaba ci farà risalire alla famosa novella del Boccaccia Andreuccio da Perugia contenuta nella V giornata del Decameron ed appartiene ad un archetipo medievale)

 

Accusì ‘sti briganti su spartirunu la summa, all’utimu doppu ci avvanzarunu certi soldi, su muttirunu a luticà a chi su gli tunevu ta tollà. Unu vulivu fa’ alla conta, ma ‘n’atru dicivu:

- No, pa Crispu, ca vuia vulitu ‘mbruglià, tullamu gli mortu drentu alla bara, muttamugli rittu* a chigli cantonu allocu, i chi ci cullu ‘na pustuluttatata 'm bettu, chigli su tollu gli quadrinu, cu accummu vu l'avetu abbuuscata vuia sta summa, mu l’hai abbuscata puru iè!"

Così i briganti si divisero in porzioni la somma e rimasero dei soldi e per chi dovesse prendersi i quali si misero a litigare. Uno suggerì di assegnarli secondo la conta, ma un altro ebbe un'idea:

"No compare Crespo, ché già sò che voi volete imbrogliare, prendiamo invece il morto nella bara, mettiamolo in posizione eretta in quell'angolo e chi con una pistolata farà centro sul suo petto sarà colui che si prenderà i soldi, perché come l'ho guadagnata io questa somma l'avete guadagnata anche voi! Non vi sembra piú giusto?"

 

 

(* RITTU, forma procopata di DRITTO. La radice di questo aggettivo RT è un classico esempio di derivazione del nostro italiano dal latino <greco<iranico<sanscrito-indoeuropeo. Per gli antichi Arii nella lingua dei Riveda, i testi sacri indù, insieme alle Upanishad, il sostantivo DIRITTO e l’analogo aggettivo dal punto di vista etimologico e semantico si dicono RTHA. L’iranico Achemenide conferma questa tesi con la forma ARTHA. L’aggettivo greco ortos-on si ipostatizza nel latino RECTUS-A-UM oppure DIRECTUS-A-UM da cui l’italiano DIRITTO. Per il latino il DIRITTO della giurisprudenza è invece detto IUS-IURIS n. Inglese RIGHT, agg. RETTO e DRITTO, sost. DRITTO).

 

Tullirunu chigli drentu alla bara, cu pu la pavura trumeva a chivigli*, i diceva tra issu:

Allora presero il falso cadavere estraendolo dalla bara, al quale per la paura si drizzavano i capelli, che disse tra sé e sé:

 

(* Le invasioni e i predominii stranieri che si susseguirono nella nostra penisola da sempre ci lasciano una traccia attendibile ed abbastanza fedele con questi residui di francesismo. Ad esempio CAPELLI=CHEVEUZ).

 

 

- le I'hai fattu pu cugliunà* cumbà' scarparu, i mo’ mu cugliununu mi cu 'che pistuluttatonu 'm bettu."

 

"Io avevo escogitato tutto questo piano per farmi gioco del compare calzolaio ed ora loro si faranno gioco di me e con quali pistolate in petto!"
(* Infinito apocopato. Romanesco. COGLIONARE significa gabbare, prendere in giro, trattare qualcuno da coglione. Coglione in dialetto è uno dei testicoli, abitualmente ritenuti, anche se a torto, tra le parti meno nobili del corpo umano).

 

Fattu si è ca chigli era 'nu burbaccionu, i quannu ci ievunu p`ammirà facivu 'nfigna da cadè'. Si suntivi biastimà chigli brigandi! N'atru cunittu facivunu cadè la chiesia.

Gli rumuttevunu drittu, i chigli rucadivu, all'utimu gli lucarunu, andannu, siccommu avivu vudutu 'ndrà gli cumbaru drentu agli cunfissinarii, su muttivu a strullà:

- Aiutumu cumbaru, aiutumu cumbatu me' begli! I chigli cu stavu allocu drentu ruspunnivu:

- Me, i cent'atru mòrtu appressu! - stumbullennu gli cunfissinari

 

 

Fortunatamente quello era un vero birbante furbacchione, così quando i briganti si disposero per mirare su di lui fece finta di cadere a terra. Se udivi come bestemmiavano quelli! ...

Sarebbe bastato un altro pochino che avrebbero fatto crollare la chiesa.

 

" Io e cento altri spiriti di morti al mio seguito …"

Riprovavano a rimetterlo eretto, appoggiato alle pareti convergenti nell'angoletto e quello ricadde di nuovo finché non lo legarono. Allora, siccome poc'anzi aveva visto entrare il suo compare nel confessionale, si mise ad urlare:

"Aiutami compare, aiutami mio buon compare!"

E quell’altro che si trovava lì dentro nascosto rispose:

" Io e cento altri spiriti di morti al mio seguito …"x

Gli brigandi suntennu accusì, tocca!... su ivunu a ruvutà 'nu migli distantu. Gli du` cumbaru, andannu, irunu a ncatunaccià la porta, i su spartirunu tuttu gli quadrinu cu avevunu lassatu gli brigandi. Quannu furunu all'utimu, cumbà scarpatu dicivu agli cumbagni sé:

_ I mò, cumbà, nu mu dai gli vinticincu paulu du lu scarpu?

Gli brigandi ch’erunu ruvunuti, i stevunu a suntì alla porta, nun capiscirunu dullu scarpu, i suntirunu sultantu: vinticincu paulu, i dicirunnu:

 

 

 

Facendo quello dondolare e vacillare il confessionale, i briganti, udendo dire così … Via! Se la squagliarono almeno un miglio distante. I due compari, allora, andarono a chiudere la porta e si divisero in due parti uguali tutto il denaro che i briganti nella fuga avevano lasciato lì Giunti alla divisione dell’ultima moneta, il compare ciabattino disse al suo compagno:

"E ora compare, non mi dai i venticinque centesimi delle scarpe?"

I briganti che nel frattempo erano tornati e che erano 1ì fuori ad origliare, non compresero il particolare delle scarpe e capirono soltanto il dettaglio venticinque centesimi e dissero:

 

 

_ Saravunu ‘che migliora a iesci drentu, attoccunu vinticincu paulu pu tu!

I accusì crudennusu da murì, scapparunu, i gli du’ cumbaru su nu ruirunu alla casa cu ‘nu saccu du piastru.

 

 

 

"Saranno qualche migliaio di fantasmi qui dentro, se toccano venticinque centesimi a testa!"

E così temendo di morire se avessero conteso con gli spiriti, fuggirono via ed i due compari se ne tornarono a casa con un bel malloppo di monete.

 

 

(raccontata da Giovanni Sindici)

 

Chiesa dei SS Antonio e Agostino in Arce

 

(da Fiabe Ciociare di L. Di Ruzza, 1999)