L’ultima fatica di Mario Izzi

 

 

Sulle orme di Erasmo

 

L’avevamo promesso qualche tempo fa, poi lo spazio fu tiranno, ora è giunto finalmente il momento di parlarvi dell’ultimo libro pubblicato da Mario Izzi (ma sarà proprio l’ultimo, o nel frattempo la fertile mente del roccaseccano più letto in Italia ha già dato alle stampe una nuova opera?).

Debbo confessare che, nel momento in cui ricevetti a casa il plico contenente questo interessante testo contenente tantissimi proverbi in dialetto (con testo italiano a fronte) oltre ad una lunga appendice ricca di “soprannomi” rimasi colpito dal titolo! Quando si parla di Erasmo si pensa sempre alla pazzia … c’è poco da fare! Così mi venne da pensare che la mente del nostro compaesano trapiantato in Emilia potesse aver imboccato una strana strada … Poi mi venne in soccorso la prefazione dell’autore che spiegava l’arcano.

 Ecco dunque come l’autore introduce questa ennesima imperdibile perla per la nostra collezione.

 Si chiamava GEER GEERTSZ il monaco olandese, da noi meglio conosciuto col nome di ERASMO DA ROTTERDAM , il più eccelso personaggio che espresse l’UMANESIMO fuori d’Italia. Nato nel 1466 e morto a Basilea nel 1536 fu, in particolare col suo capolavoro l’ELOGIO DELLA PAZZIA, “il rappresentante di una spiritualità raffinata, tollerante, culturalmente aristocratica, cui ripugnava la violenza delle passioni popolari sollevate dalla potente personalità di Lutero”. L’umanista olandese, infatti, “sferza con ironia la grettezza della pura erudizione e gli eccessi dell’intellettualismo, cui contrappone la fresca spontaneità della vita nella sua irrazionalità creatrice.” In lui “si accese lo sdegno contro l’ignoranza e la faziosità del clero, il mercato delle indulgenze, ‘ossequi tutto esterno e formale alle pratiche del culto” (da Enciclopedia Nuovissima, C.D.P., Milano, 1964, voce “Erasmo”) Trattandosi di un monaco agostiniano, scusate se è poco …

Non a caso la sua personalità è messa oggi in evidenza dalle istituzioni europee, che incentrano sul suo nome e il suo intelletto prodigioso ogni manifestazione culturale di consistente spessore. Non trascurò egli, tuttavia, le cose minime.

Si occupò, tra l’altro, della raccolta di un insieme di massime popolari, che intitolò, appunto “ADAGIA”, di cui si servì per dar corpo alle esperienze semplici e creatrici del popolo, che sono alla base dei quelle sagge massime. Il richiamo agli “ADAGIA” erasmiani m’è sembrato potesse costituire non soltanto un aggancio classico ai nostri più modesti proverbi. Pure se le distanze tra loro sono abissali, il riferimento serve a mio avviso a provare come l’interesse a trattare le cose minime sia stato a volte anche considerevole in chi er solito spaziare in ambiti molto più elevati. Tutto ciò al fine di essere aiutati a fare una sorta di salto non per cadere “ab astris ad infera” – dal paradiso all’inferno – ma per essere spinti, al contrario, “ab inferis ad astra”, - dall’inferno al paradiso – “o se si preferisce dalle stalle alle stelle”. Tale il fine nelle intenzioni di chi scrive, nella speranza sia condiviso chi leggerà.

 

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Dato che i nostri “PROVERBI” si inseriscono in modo cosiffatto, ci sia concesso allora di auspicare, dal nostro canto, che siano essi, i nostri “PROVERBI”, a proteggerci da canaglie, impostori, avventurieri e prepotenti, la cui proliferazione non è l’ultimo dei regali offertici da una certa “globalizzazione”. Chissà se i potenti della terra riusciranno a capire che la politica fatta “contro” qualcuno non ha mai dato, alla lunga, buoni frutti. Meno che mai può darne oggi che i pur ridotti arsenali militari sono in grado di distruggere più volte il nostro pianeta. Al punto in cui si è giunti, a chi altri, se non alla saggezza popolare, ci si può rivolgere per far sì che la politica vada verso l’incontro anziché lo scontro, puntando non alla contrapposizione ma alla solidale collaborazione?

 Mario Izzi, 2002

 

Come suonano amare, quasi profetiche, in queste ore di guerra, le parole con cui Izzi concludeva la sua introduzione!

Ed ora un assaggio dei “Proverbi” che pubblichiamo soltanto nella versione dialettale inserendo tra parentesi soltanto qualche chiarimento più specifico, tralasciando la “traduzione” in Italiano che ci porterebbe via troppo spazio.

Partiamo dalla sezione intitolata “Insegnamenti tratti dal rapporto con la natura”.

 

Nebbia alla costa, l’acqua s’accosta

Nebbia alla piana, l’acqua s’alluntana

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 Quante trocena (tuona) d’avrile,

rane a tommera, (grano a tomoli – misura di quantità)

vine a barile

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Fiore d’avrile, oglie a barile

Fiore de maggie, d’oglie n’assaggie,

fiore de giugne: manche ‘n’ogna panugne (neanche un’unghia ungi)

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A maggie, ragliene gl’asene

 

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La furcella scura scura, mala tempe da paura

La furcella roscia a sera: ‘na schiarita mo se spera

La furcella tersa, fina: gliu’ bon tempe s’avvicina.

(Forcella: le montagne verso Terracina)

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Tempe vecchie: fame, fridde i catapecchie

Tempe nove: ‘n case calle succie gl’ove

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Quann’è tempe de vinaccia,

chi vo’ gl’ove si gli faccia

(il tempo di vinaccia è ottobre: le galline smettono di fare le uova)

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Ièsce gliu sole i chiove,

s’è ‘nzurate gliu ‘ove (bue)

s’è misse ‘na bella cannacea (collana)

tutti gli iorne scioglie i attacca

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Chiove chiove chiove

Chi sta dent ‘n’ se move

 

L’acqua ‘nfraceda le ‘udella

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Gliu porce satre ammodeca gliu tine

(il maiale sazio rovescia il tino)

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Porce i gagline n’n su’ mai sazzie!

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Prèvete, porce i pugli n’n so’ mai satugli (satolli)

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Chi è state muzzecate dalla serpa,

ha paura pure della icerta (lucertola)

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Ringrazia la saetta, no Santammiddie

Sant’Emidio, protettore dai fulmini)

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Rocco patalocco fa le pèpeta (“ventini”)

I le scrocche

Le sbatte vicine agliu mure

I le venne nu solde l’une

 

 

A cura di R.M.