Il “pallone” nella

Letteratura italiana

 

 

 

Henri Rousseau Les Joueurs de football, 1908

 

 

 

Quando due anni fa Marco nel preparare la “tesina”, o per meglio dire il “percorso” interdisciplinare per l’esame di maturità scelse come argomento il “giuoco del calcio” rimasi sinceramente perplesso. Al di là di qualche libro di successo come Febbre a 90° di Nick Hornby o le classiche autobiografie di calciatori (Tony Adams, George Best, Paolo Di Canio, tanto per citare alcune delle più recenti) scritte di solito con l’apporto di celebri giornalisti sportivi, non vedevo agganci con altre materie, soprattutto nell’ambito di una maturità “classica”.

Marco mi ha smentito ed ha presentato un Percorso di tutto rispetto che attraversa l’Arte (numerose le opere sul Calcio di artisti del XX secolo, su tutte il “logo” di Espana 82 di Mirò), la Lingua Inglese (gli “inventori” del football moderno), la Storia (le origini del Calcio fiorentino, il culto dello sport in epoca fascista, etc.) e, soprattutto, alcune pagine forse colpevolmente dimenticate della Letteratura Italiana.

 

 

 

Ne pubblichiamo la parte dedicata a quest’ultimo aspetto, ricordando che nella composizione della tesina Marco si è aiutato con Internet, estrapolando dei testi di cui sarebbe ora estremamente difficile risalire alle fonti, per una doverosa citazione, e di questo ci scusiamo con gli autori e i gestori dei relativi siti.

 

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A quanto pare anche la nostra letteratura non è stata esente dalla passione per il “pallone”.

Infatti, sebbene non si possa affermare che gli intellettuali abbiano attinto a piene mani dallo sport e dal calcio in particolare, sono diverse le eccezioni di importanti autori che hanno cercato di narrare il mondo di emozioni che permeano questo gioco, un mondo spesso parallelo a quello reale, tanto da fungere da metafora della vita.

Il primo caso rilevante in ordine cronologico è sicuramente quello di Giacomo Leopardi, con la sua poesia “A un vincitore nel pallone”, del novembre 1821, che rientra nel ciclo delle cosiddette Canzoni civili e patriottiche che esortano alla riscossa nazionale.

Vengono qui a delinearsi un "pessimismo storico" ed una visione radicalmente negativa della situazione politica contemporanea al poeta.

Leopardi, in questa canzone in cinque strofe, si riferisce ad un ben preciso personaggio, il giovane Carlo Didimi di Treia, campione famoso nel gioco del pallone, successivamente patriota e carbonaro, acclamandolo come campione, elogiandolo per l’energia espressa nell’azione sportiva. In particolare, "A un vincitore nel pallone" esalta l'agonismo e il rischio come unici rimedi ad un'esistenza svuotata di qualsiasi valore.

Una visione della vita, che va presa come un gioco, come il calcio quindi, e come tale va giocata, e non è necessario stare attenti allo scopo dell’azione, purché azione sia: “nostra vita a che val? Solo a spregiarla”. E allora Leopardi, oltre ad elogiare il ragazzo, lo incita a continuare così e, anzi, a fare ancora di più. Che sia una vita attiva e anche rischiosa, che offra la possibilità di salvarsi dall'infelicità e dalla noia cercando di passare dall’ignavia all’azione.

 

 

Giacomo Leopardi

A un vincitore nel pallone

 

Di gloria il viso e la gioconda voce
Garzon bennato, apprendi,
E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi,
Magnanimo campion (s'alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio. Te l'echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;
Te rigoglioso dell'età novella
Oggi la patria cara
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona
Non colorò la destra
Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupido mirò l'ardua palestra,
Nè la palma beata e la corona
D'emula brama il punse. E nell'Alfeo
Forse le chiome polverose e i fianchi
Delle cavalle vincitrici asterse

Tal che le greche insegne e il greco acciaro
Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi

Nelle pallide torme; onde sonaro
Di sconsolato grido
L'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.
Vano dirai quel che disserra e scote
Della virtù nativa
Le riposte faville? e che del fioco
Spirto vital negli egri petti avviva
II caduco fervor? Le meste rote
Da poi che Febo instiga, altro che gioco
Son l'opre de' mortali? ed è men vano
Della menzogna il vero? A noi di lieti
Inganni e di felici ombre soccorse
Natura stessa: e là dove l'insano
Costume ai forti errori esca non porse,
Negli ozi oscuri e nudi
Mutò la gente i gloriosi studi.
Tempo forse verrà ch'alle ruine
Delle italiche moli
Insultino gli armenti, e che l'aratro
Sentano i sette colli; e pochi Soli
Forse fien volti, e le città latine
Abiterà la cauta volpe, e l'atro
Bosco mormorerà fra le alte mura;
Se la funesta delle patrie cose
Obblivion dalle perverse menti
Non isgombrano i fati, e la matura
Clade non torce dalle abbiette genti
Il ciel fatto cortese

 

 

Dal rimembrar delle passate imprese.
Alla patria infelice, o buon garzone,

Sopravviver ti doglia.
Chiaro per lei stato saresti allora
Che del serto fulgea, di ch'ella è spoglia,
Nostra colpa e fatal. Passò stagione;
Che nullo di tal madre oggi s'onora:
Ma per te stesso al polo ergi la mente.
Nostra vita a che val? solo a spregiarla:
Beata allor che ne' perigli avvolta,
Se stessa obblia, nè delle putri e lente 
Ore il danno misura e il flutto ascolta 
Beata allor che il piede 
Spinto al varco leteo, più grata riede

 

 

 

Giacomo Leopardi

 

 

 

 

Molto più aderenti al tema calcistico sono le “Cinque poesie sul gioco del calcio” di Umberto Saba. E’ trascorso più di un secolo (siamo nel 1933) dai versi di Leopardi e ormai il pallone è divenuto realtà consolidata in Italia.

A onor del vero, Saba si avvicina al calcio casualmente, entra la prima volta allo stadio solo per accompagnarvi la figlia desiderosa di vedere la squadra di casa, la Triestina. Fino a quel momento il poeta non aveva mai dato molto peso al calcio, anzi aveva provato una certa irritazione verso tutti quei tifosi che deliravano o si disperavano seguendo le evoluzioni della propria squadra.

 

 

 

 

 

Non riusciva a capirne il senso, ma da quel giorno per lui tutto cambiò, dentro quello stadio Saba si sentì perduto, avvolto dal calore della folla.

Quel primo incontro col calcio è narrato in “Squadra paesana”; il poeta era ormai rapito da quello spettacolo che gli permetteva, fra l’altro, di riconoscersi nella massa, bisogno da lui sempre inseguito, e continuò a scrivere liriche sull’argomento, prendendo spunto ogni volta da alcuni momenti che lo avevano colpito maggiormente.

Così, mentre nella prima composizione aveva espresso lo stupore personale, nella seconda, “Tre momenti”, descrive la gioia e la felicità dei tifosi, la cui brevità è compensata dall’immensità, ed inoltre gli istanti che precedono il fischio d’inizio e il comportamento del portiere, che si rilassa quando i suoi compagni hanno il controllo del gioco, ma che diventa guardingo appena lo pèrdono.

Il comportamento dei tifosi è il tema della “Tredicesima partita” scritta in occasione di uno incontro disputato a Padova del quale il poeta fu spettatore insieme a sua figlia.

Dopo aver capito che la coppia, nonostante non parli il dialetto locale, tifa per la squadra di casa, i tifosi con un atto di galanteria regalano un mazzetto di fiori alla ragazza (cosa oggi inimmaginabile!).

 

 

 

 

 

Saba per ringraziarli dedica loro questa poesia, nonostante non fossero tifosi della sua Triestina, facendo leva sul sentimento di unità che lega gli spettatori.

Il quarto capitolo della raccolta: è l’unico in cui Saba mostra una sorta di disprezzo per i calciatori, che “odiosi di tanto eran superbi passavan là sotto” e “tutto vedevano, e non quegli acerbi”; gli acerbi sarebbero i ragazzini, ed, infatti, specialmente a loro è dedicata questa “Fanciulli allo stadio”, perché nelle loro speranze, puntualmente deluse, Saba crede di rivivere la propria infanzia. Infine c’è “Goal”, probabilmente la più famosa fra queste poesie, usata dal regime fascista per far avvicinare i bambini alla letteratura. Tema di quest’ultima lirica sono i sentimenti contrastanti dei due portieri nel momento di un goal. Quello che ha subito il goal, che si dispera e “contro terra cela la faccia”, come a voler scomparire, e l’altro, che, obbligato a rimanere nei pali, lascia libera di vagare almeno la sua anima, alla ricerca della felicità insieme ai suoi compagni.

 

Umberto Saba

 

Goal

 

Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l'amara luce.
Il compagno in ginocchio che l'induce,
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

La folla - unita ebbrezza - par trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l'odio consuma e l'amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.

Presso la rete inviolata il portiere
- l'altro - è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasto sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si* fa baci che manda di lontano.
Della festa - egli dice - anch'io son parte.

 



 

 

 

Storie piccole, storie della domenica calcistica, che diventano grandi storie di uomini. La poesia di Saba è intimamente democratica ed egualitaria. Ne offrirà un personale ricordo in un vecchio video trasmesso dalla RAI (quando dedicava tempo e spazio alla Cultura) in cui legge alcune delle "Cinque poesie" in un’atmosfera prettamente casalinga: in vestaglia, seduto al tavolo della cucina, il libro aperto davanti alla macchinetta del caffé. Un uomo semplice e un grande poeta, in casa sua, che con profonda intelligenza e umanità si mostra in questo modo, senza necessità di esibire altro, davanti all'occhio delle telecamere.

 

Pier Paolo Pasolini, ancor più recentemente, si spinge addirittura oltre. Per la sua passione calcistica illimitata prova ad assimilare il calcio ad un vero e proprio linguaggio, coi suoi poeti e prosatori.

Il football, per lui, è un sistema di segni, cioè un linguaggio, che ha tutte le caratteristiche fondamentali di quello scritto-parlato. Infatti le «parole» del linguaggio del calcio si formano esattamente come le parole del linguaggio scritto-parlato. L’unità minima del linguaggio del calcio, il suo “fonema” è il calciatore.

Le infinite possibilità di combinazione dei fonemi formano le «parole calcistiche», cioè i passaggi fra i vari calciatori: e l’insieme delle «parole calcistiche» forma un discorso, regolato da vere e proprie norme sintattiche. Tale sintassi si esprime nella «partita», che è un vero e proprio discorso drammatico. -

I cifratori di questo linguaggio sono i giocatori, noi, sugli spalti, siamo i decifratori: in comune dunque possediamo un codice. Chi non conosce il codice del calcio non capisce il «significato» delle sue parole (i passaggi) né il senso del suo discorso (un insieme di passaggi). Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del «goal». Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Anche il «dribbling» è di per sé poetico. Infatti il sogno di ogni giocatore (condiviso da ogni spettatore) è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare. Il calcio europeo è in prosa: Il «goal» deve derivare da una organizzazione di gioco collettivo, fondato da una serie di passaggi «geometrici» eseguiti secondo le regole del codice. Il calcio latino-americano è in poesia: per essere realizzato deve richiedere una capacità mostruosa di dribblare (cosa che in Europa è snobbata in nome della «prosa collettiva»), e il goal può essere inventato da chiunque e da qualunque posizione. Se dribbling e goal sono i momenti individualistici-poetici del calcio, ecco quindi che il calcio brasiliano è un calcio di poesia.

Senza far distinzione di valore, ma in senso puramente tecnico, in Messico 1970 è stata la prosa estetizzante italiana a essere battuta dalla poesia brasiliana.

 

Per concludere citiamo l’opera di Fernando Acitelli, romano, classe 1957, che ha pubblicato “La solitudine dell'ala destra” (Einaudi, 1998), una raccolta di quasi 200 poesie dedicate ad altrettanti giocatori, dai più famosi ai carneadi, ai brocchi riconosciuti, ma non per questi privi di un'essenza, di una parvenza di celebrità. Prendete la poesia per Luis Silvio Danuello, misterioso brasiliano che disputò nove partite nella Pistoiese senza segnare neanche un goal, ma soprattutto non beccando quasi mai un pallone! Narra la leggenda che venne acquistato per errore, al posto di un altro più dotato. Lo segnalano, oggi, barista dalle parti di Campinas, nello Stato di San Paolo.

A Bahia fu la spiaggia a tradirti.
Vistoti palleggiare al ritmo di samba,
lo stolto talent-scout - raggirato
da goleador balneari - abusò in parole solenni
portandoti in Italia.
Furon avanzati paragoni incredibili,
da avanspettacolo, e quasi fosti accostato
a Garrincha.
I pochi minuti di serie A
ebbero la maglia arancione
della Pistoiese. In Italia, per difenderti,
visto che non giocavi mai, presero
a dire che eri troppo giovane.

 

 

A cura di Marco detto Marcussen