Lunga vita all’Alicantro

 

 

 

Dopo aver parlato del simpatico elefantino Annone non potevamo esimerci dal dedicare un poco di spazio ad un altro pachiderma a noi tanto caro.

E’ entrato nei nostri cuori e non ne è più uscito; nelle nostre famiglie è divenuto come quegli amici di vecchia data che sono partecipi delle nostre cose quotidiane e non mancano mai nelle occasioni importanti. Eppure non è un personaggio e neanche un animale reale, ma nemmeno un parto della fantasia; almeno non del tutto. Chi ci segue fin dal primo numero dell’Eco sa di chi stiamo parlando, per gli altri forse sarà una sorpresa. Ci riferiamo all’ALICANTRO, un animale che circa dieci anni orsono descrivemmo, con una certa dose di fantasia, in questo modo:

“L’alicantro, nome scientifico “Alichantrus Elephantatus Roccasixiarum - Alicantr” viveva alle pendici del Monte Cairo, in piccoli branchi, che tutte le mattine si spostavano lentamente verso il fiume Melfa, dove solevano abbeverarsi.

Non amava socializzare con l’uomo, anche se, per un particolare istinto prettamente ciociaro, stava immobile e serio ad ascoltare, se a rivolgersi a lui era un abitante del luogo, mentre se, viceversa, si trattava di un forestiero, gli schiacciava la testa dopo pochi secondi, emettendo poi il suo caratteristico barri-latrato che echeggiava a lungo nelle valli e sui monti.  Quando sulla terra si verificò quel misterioso ed insoluto evento, per il quale tutti i dinosauri e gli altri animali preistorici si estinsero, l’alicantro riuscì miracolosamente a sopravvivere, anche dopo la fine degli ultimi mammouth, suoi lontani parenti nordici, con i quali era uso intrattenere rari rapporti, quasi esclusivamente per le feste di Natale. Dopo alcuni secoli però, incalzato dagli uomini, che finirono presto per occupare i suoi pascoli preferiti, si rifugiò in grotte e caverne inaccessibili, dalle quali non fece più ritorno.   Venne considerato estinto per secoli, ma ogni tanto, non si sa se frutto di leggende o di realtà, qualcuno ha asserito di averne visto un esemplare, o, quanto meno, di aver sentito, di notte, l’eco del terribile barri-latrato con risucchio, tra le valli del Monte Occhio. Fantasia, realtà, chi lo sa? Spesso non riusciamo a distinguere l’esiguo confine tra questi due mondi affascinanti, e forse è meglio così”.

Nel nostro gruppetto di amici, da allora, il nome ALICANTRO è divenuto di uso comune, utilizzato perfino come “password” per il computer!

Molti si sono chiesti cosa c’è dietro questa leggenda.

Da un punto di vista scientifico è ormai provato che in epoca preistorica anche la Ciociaria, e Roccasecca in particolare, fu abitata da pachidermi avi degli attuali elefanti. Nella celebre “Storia di Roccasecca” (ed. 1997) di Dario Ascolano, che parte dalla preistoria per arrivare sino al 1994, anno del Millenario roccaseccano, all’inizio del primo capitolo, intitolato “Notizie dalla preistoria”, alle pagine 16 e 17 si legge quanto segue:

“Le più remote tracce di vita rinvenute nei depositi alluvionali di questa zona sono state studiate, intorno al 1870, dal celebre antropologo ciociaro Giustiniano Nicolucci di Isola del Liri (G. Nicolucci, Gli elefanti fossili nella Valle del Liri, 1882). Si tratta di interessanti testimonianze di vegetazione subtropicale e di “elefanti fossili” di varie specie: elephas antiquus, elephas mertdionalis e bos primigenius associato ai primi stanziamenti umani. Di quest'ultima specie nel museo di Casamari è conservato un dente di avorio lungo circa due metri (vedi foto).

 

Denti di bos primigenius (Museo di Casamari)

 

Recentemente a Roccasecca Scalo, scavando i pozzi, se n'è trovato qualche resto e a Pontecorvo c'era addirittura un "cimitero degli elefanti". Sono stati trovati anche resti di orsi bruni, di cervi e di cavalli selvatici. L'età paleolitica è documentata, anche nella Valle del Sacco e del Liri, da selci rozzamente lavorate, per lo più asce e frecce. Allora, si sa, si viveva di caccia e di pesca e ci si rifugiava nelle caverne per dormire e per ripararsi dalle intemperie. I1 capo tribù, lo stregone e l'indovino erano (anche allora!) i più rispettati. Se ne è trovato qualche cranio e qualche altro osso qua e là, come a Castelluccio sul Liri, in tombe scavate nel terreno (inumazione) e senza suppellettili

 Anche alle pendici del monte Asprano sono state trovate tracce dell'uomo paleolitico e frecce rozzamente appuntite. ... (G. Nicolucci, L'età della pietra nelle provincie Napoletane, marzo 1872 Cfr. anche Armi e Utensili dell'età della pietra, Napoli, 1869).

Queste le notizie storico-scientifiche. Per quanto riguarda l’aspetto “leggendario“ non vogliamo rivelare completamente il segreto, anche perché è giusto lasciare un alone di mistero sul caro animale.

Dunque si narra che ALICANTRO è il nome che un bambino roccaseccano diede all’ELEFANTE, nei lontani anni ’50.

Si narra che la scena si svolse nella scuola elementare di Caprile, protagonista una maestrina alle prime armi (Elena S.), proveniente da una grande città. La maestra stava facendo lezione ad una “prima” mostrando il tabellone con le iniziali dell’alfabeto legate ciascuna ad una grande illustrazione.

Alcune risposte furono esilaranti.

Mostrando l’immagine dell’IMBUTO chiese cosa fosse ed un bambino rispose pronto: “I come MUTTIGLIE!” (Muttiglie = Imbuto in dialetto); successivamente mostrando il disegno di un elefante, sormontato da una grande “E”, chiese ad un altro di ripetere lettera e soggetto illustrato. Ed il bimbo, un po' indietro nella conoscenza della lingua, dopo averci pensato un momentino, esclamò: “E com’ Alicantr!”.

Difficile la vita dei maestri laddove il dialetto predomina sull’Italiano.

Da allora, a Roccasecca, ed in particolare nella nostra famiglia, fu coniato un nuovo termine, ALICANTRO!

Tenuto sepolto per decenni, scovato di nuovo dai segugi dell’Eco, l’ALICANTRO è tornato a nuova ed imperitura vita!

E allora noi fieri esclamiamo: Lunga vita all’ALICANTRO!!!

 

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