La storia di Annone,

elefantino de Roma

 

 

L’obelisco in piazza della Minerva in una incisione del 1840 (sullo sfondo la cupola del Pantheon)

 

Succede di passare tante volte di fronte ad un monumento o ad una statua un po’ particolare senza chiedersi il motivo per cui quell’opera è stata posizionata proprio in quel posto e perché.

In piazza della Minerva, a Roma, dietro al Pantheon, c’è un curioso piccolo obelisco che poggia sul dorso di un elefante. Non mi ero mai chiesto l’origine di tale statua fino a quando, l’estate scorsa, mi sono imbattuto nella storia dell’elefantino Annone, sfogliando uno dei primi fascicoli di “Storia Illustrata” dell’ottobre 1958, acquistato per 1 euro sulle solite bancarelle di libri usati.

Il titolo dell’articolo “La trionfale ambasciata dell’elefante Annone”, a cura di C. Picchio, mi ha immediatamente incuriosito.

L’illustrazione dell’obelisco di Piazza della Minerva mi ha spinto a leggere di getto l’articolo e, successivamente, a cercare ulteriori informazioni sull’argomento, un pezzo di storia di Roma che forse non tutti conoscono.

La vicenda, assolutamente reale, si svolge nel 1514. Qualche tempo prima il re del Portogallo, Manuel I, aveva ricevuto in dono dal Pakistan un rinoceronte ed un piccolo elefante bianco. Il Re trovandosi nella assoluta necessità di un appoggio economico da parte di Papa Leone X , pensò di ingraziarsi il Pontefice e tutta la corte romana, inviando una ambasceria a Roma che avrebbe consegnato, oltre ai tradizionali doni, anche una cinquantina di animali esotici, con in testa il rinoceronte e l’elefante. Si tratta di rievocare, dunque, la più strana delle missioni diplomatiche, guidata da un … elefante! La bizzarra ambasceria era una fantasmagoria di colori, di musiche, di splendori d’alabarde e d’armature, di vesti di seta e di piume, e poi gli animali, tra cui una pantera nera ed un cavallo persiano, pappagalli ed uccelli mai visti prima, il rinoceronte e, naturalmente, “l’illustre pachiderma ammaestrato che incedeva sicuro, mirabilmente istruito e conscio della propria autorità.” Questo elefante fu battezzato Annone, eppure, essendo di origine indiana, gli sarebbe spettato un nome orientale; ma per gli europei dell’epoca gli elefanti erano indissolubilmente legati alla lontana spedizione di Annibale, e così gli imposero un nome cartaginese! Annone aveva quattro anni, era bianco e di dimensioni modeste, al punto che quando raggiunse la sua massima altezza non superò di molto quella di un uomo; in compenso era assai grasso. Allo scudiero reale Nicolò de Farìa fu assegnato il delicatissimo compito di “istruire” Annone affinché facesse una bellissima figura dinanzi al Papa. Il pachiderma, dopo alcuni mesi imparò ad obbedire ai comandi del suo istruttore, dapprima alla voce, infine addirittura comprendendo al volo i cenni quasi impercettibili di Nicolò.

 

 

L’elefante Annone in un disegno riprodotto nel volume “Antigualias Romanas” di Francisco de Holandia

 

 

Venne il giorno della partenza. La spedizione attraversò le terre del regno per otto giorni, suscitando curiosità e meraviglia tra la popolazione.

Così scriveva Nicolò al Re in una delle periodiche missive che gli era stato ingiunto di inviare regolarmente a corte:

“Nei tre giorni in cui restammo ad Alicante avemmo sempre intorno a noi tanta gente che era una maraviglia vedere, e circondati da persone e da navi ci trovammo in tanta confusione che più non si sapeva che fare. Partimmo finalmente ed arrivammo ad Ivìza, dove ci fermammo alcuni giorni, circondati sempre dalla ressa e poi, giunti che fummo a Majorca, nei dieci o dodici giorni di sosta che vi facemmo, tanta fu la folla che ci assediò che mai non avevamo intorno meno di cento battelli dove il ponte ed il cassero erano stati dati in affitto e da quelli vennero a vederci i nobili e i maggiorenti di Majorca con le loro mogli, tanto che in città non restò più nessuno”.

La curiosità per il mitico animale che da oltre mille anni non metteva piede in Europa era stata prevista, ma nessuno avrebbe potuto immaginare ciò che avvenne in Italia quando, dopo una parte di viaggio in mare ed uno sbarco reso difficoltoso dal mare grosso, Annone potè finalmente posare le sue pesanti zampe sul suolo italiano.

 

Sembra anche che una delle navi, che trasportava il rinoceronte, affondò e l’animale morì, mentre l’elefante giunse sano e salvo, sbarcando ad Orbetello.

Iniziò quella parte del viaggio in terra italiana, direzione Roma, che fece registrare scene di entusiasmo ed incredibili episodi di delirio collettivo. Mentre i componenti della spedizione, sempre con Annone in testa, percorrevano una strada consolare, ai bordi della stessa si accalcava una folla straripante ed agitata, smaniosa di vedere il già famoso elefante indiano!

La storia registra danni ingenti a coltivazioni, vigne, frutteti e persino devastazioni di ville e case, dove scale e balconi furono prese d’assalto per raggiungere ottimi punti di osservazione.

L’ornamento di Annone era splendente e sfarzoso: “una gualdrappa di seta azzurra, punteggiata di smeraldi e rubini gli copriva la groppa, sulla quale era collocato un cofano di sandalo dorato, con intarsi di madreperla, tempestato di gemme. Racchiudeva i doni più preziosi per il Sommo Pontefice: un piviale di broccato, il cui peso era raddoppiato da quello delle gemme, e calici, turiboli, anelli ed arredi d’oro”.

Finalmente il corteo arrivò a Roma. Nella grande sala per le udienze Leone X sedeva sul trono; intorno a lui sedevano i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Principi romani, gli ambasciatori, i dignitari di corte e gli artisti, tra i quali il Buonarroti, Raffaello Sanzio e Giulio Romano.

Nicolò de Farìa avanzò nella sala, preceduto da quattro alabardieri, si fermò, fece un inchino e si fermò: “dietro di lui gli occhi dei presenti scorsero una strana mole avanzante. Sotto la grande bardatura azzurra tutti riconobbero il bianco elefante delle Indie, con quel suo curioso capo d’animale fiabesco, le grandi orecchie a ventola, la zanne appena sporgenti, i piccoli occhi vivaci e la proboscide pendente ed oscillante come un turibolo.

 Le zampe dell’animale si muovevano lente e sembravano piccole colonne di marmo. Annone si fermò chinando la testa in un atto che parve di reverente umiltà e del quale restarono tutti ammirati; ma nessuno s’aspettava il prodigio che subito incominciò. Stupiti, gli spettatori  videro tosto le zampe anteriori della bestia flettersi adagio e l’intera sua mole, con il cofano prezioso che le torreggiava sul dorso, reclinarsi in avanti. Annone, l’elefante indiano, s’inginocchiava davanti a Sua Santità! Ed era un portentoso simbolico omaggio dell’India selvaggia e remota al Vicario di Cristo!

Nel genuflettersi, Annone levò la proboscide come un braccio teso in un gesto d’invocazione e da quella sua strana bocca dalle labbra frastagliate uscì per tre volte un barrito, non peraltro violento come quelli della giungla, ma sommesso e modulato, con un accento quasi umano.

Il Papa, che si era levato in piedi, batté le mani. L’applauso, che il rispetto aveva fino a quel momento contenuto, scrosciò allora caloroso ed unanime. L’animale volse ancora la testa a destra e a sinistra, parve abbozzare due piccoli inchini, poi tuffò la proboscide in un bacile colmo d’acqua e la spruzzò tutt'attorno come gioioso saluto a Leone X e i cardinali, ma non bagnò loro, che erano in una posizione più alta rispetto a lui, bensì servi e famigli, guardie svizzere e arcieri! Insomma Annone aveva fatto uno scherzo simpatico ed innocuo. Tutta la gente era così ammirata quando Annone lasciò la sala!”

L’ambasceria, grazie soprattutto al suo strano capo aveva ottenuto un completo successo. Tutte le richieste di Re Manuel furono accolte. Gli ambasciatori di Portogallo, i dignitari e i loro accompagnatori ricevettero onori e doni.

Il Papa fu talmente contento del dono “vivente” da decretare libero e gratuito accesso nei teatri per tutto il periodo ai Portoghesi per tutto il tempo che fossero rimasti a Roma.

 

 

Papa Leone X

 

Di questo privilegio ebbero ad approfittare anche numerosi romani che si fecero passar per “portoghesi”. E non solo a teatro! Celeberrima la frase: “oste io nun te pago gnente/ che so’ portoghese, nun se sente?”

Da questo evento il popolo chiamò “portoghesi” coloro che entrano “gratis” dove si dovrebbe pagare!

Il pontefice ordinò la costruzione di una sontuosa stalla dentro il Vaticano, così da permettere ai romani di far visita ad Annone tutte le domeniche. Per due anni le visite a questo simpatico pachiderma si susseguirono incessantemente, poi, come in tutte le cose, l’interesse venne meno e il numero dei visitatori scemò sensibilmente. Tre anni dopo Annone cominciò ad avere una tosse fastidiosa. Forse il clima umido, o più probabilmente una crisi di nostalgia della sua terra d’origine, fecero ammalare l’elefante che in breve morì. I dottori romani diagnosticarono un’angina; ma c’è chi parla di una folle cura, costituita da un forte lassativo rinforzato con mezzo chilo di oro in polvere (!) suggerita dai veterinari.

Leone X aveva pregato Raffaello Sanzio di ritrarre l’elefantino. Il grande pittore non andò di persona, ma mandò Giulio Romano il quale, a matita rossa, ne disegnò quattro magnifici schizzi, ora conservati ad Oxford.

 

Possiamo ora tornare al piccolo elefante di fronte Santa Maria sopra Minerva. Opera di Lorenzo Bernini, venne eseguito circa un secolo e mezzo dopo gli avvenimenti sin qui narrati. Anche in questo caso c’è una storia/leggenda molto gustosa che, per ragioni di spazio, ci limitiamo a sintetizzare.

Nel 1667, Papa Alessandro VII , appartenente alla famiglia Chigi, volle recuperare e posizionare un obelisco che era stato ritrovato due anni prima in un giardino vicino la Chiesa di Santa Maria sopra Minerva, dell'Ordine Domenicano.

I Domenicani presentarono un progetto che prevedeva di poggiare l'obelisco su una base costituita da sei piccole montagnette (simbolo della casata dei Chigi), con un cane in ciascun angolo (simbolico: in latino 'Domini Canes' = 'I cani del Signore', guardie fedeli).

Al Papa il progetto non piacque e chiese al Bernini una soluzione diversa. Il grande scultore, forse memore dell’elefantino Annone, o di un altro elefante chiamato Hanno (cioè Annone in latino!!!), il cui padrone chiedeva denaro per mostrarlo, divenuto subito molto popolare, decise di inserire l'obelisco sopra un Elefante!

Il papa approvò il progetto ma i domenicani ebbero a protestare sostenendo che Bernini non aveva inserito un cubo sotto la pancia del pachiderma e temevano che, senza di esso, l'obelisco sarebbe potuto cadere sulla statua, ricordando che "nessun peso a piombo deve avere sotto di sè il vuoto, perchè non sarebbe solido nè durevole".

Bernini replicò sostenendo che 16 anni prima aveva già realizzato la fontana di Piazza Navona con un obelisco sistemato su una roccia vuota.

Ma i Domenicani si impuntarono e pretesero il “cubo” e Bernini dovette arrendersi, ma a modo suo.

Lo scultore, che non aveva certo un carattere accomodante, mise in atto uno scherzetto niente male nei confronti dei “simpatici” Domenicani.

 

 

Nella realizzazione finale, infatti, Bernini pose l'elefantino sopra la base cubica, parallelamente all’entrata della Chiesa, ma con la testa voltata verso l’esterno ossia dalla parte opposta della porta principale, mentre la coda era girata verso sinistra accentuando una posa un po’ irriverente. In pratica Bernini aveva sistemato l’elefantino al contrario rispetto all’entrata della chiesa!

 

 

 

Fu lo stesso papa Alessandro VII a dettare le iscrizioni ai lati del piedistallo.
Una di esse spiega  la ragione dell'Elefante: "Oh tu che vedi qui, portato da un Elefante (il più forte degli animali) i geroglifici del saggio Egitto, capisci l'avvertimento: c'è bisogno di una mente forte per sostenere la solida Conoscenza".

A questo gioiello di scultura i Romani diedero il burlesco ed affettuoso nome di “porcino della Minerva”, successivamente modificato in “pulcino della Minerva”, con cui è tuttora chiamato.

 

 

A cura di Riccardo