La dure des dures

 

Domenica 15 aprile 2007, ore 10.45: ad Haveluy metto finalmente piede sul pavee della Parigi – Roubaix e realizzo un mio grande sogno. Non mi sembra vero di poter camminare e toccare con mano quei sassi squadrati che pavimentano antichi viottoli di campagna del nord della Francia, ai confini con il Belgio. Da quando ero piccolissimo e iniziai ad appassionarmi al ciclismo già solo il nome della Roubaix ha evocato in me un qualcosa di mistico, imperscrutabile, misterioso, arcano, affascinante.

Mi ero ripromesso tante volte di andare ad assistere a questa corsa che è molto più di una competizione ciclistica, ma per un motivo o per l’altro non mi era mai riuscito. Finalmente quest’anno la spedizione è partita e l’equipaggio composto da me, Alessandro "Dondolo" e il Trapper dopo aver traversato in macchina Italia, Svizzera, Francia, Lussemburgo e Belgio è sbarcato a Charleroi. Qui grazie alla squisita ospitalità della famiglia Tanzilli, con in testa l’ineguagliabile Marie France che non a caso è moglie di Rocco e cognata del Trapper, e alla guida sicura di Antoine abbiamo potuto vivere un’esperienza fantastica. Almeno per me.

Andiamo con ordine: partenza il giovedì pomeriggio da Roma e alla sera pernottamento a Milano in casa di Angelo Scienziato. Angelo oltre che ospitarci da suo pari, si è esibito nella preparazione di una deliziosa cenetta;

abbiamo schivato le cotolette di squalo ( i suoi trascorsi australiani non tradiscono) e siamo planati su più tranquilli filetti di sogliola.

 

Trapper, il sottoscritto e Scienziato

Alla mattina salutato Scienziato, non senza qualche rimpianto per non poterlo portare con noi, abbiamo proseguito per Il Belgio. A mezzodì sosta beneaugurate a Strasburgo e alla sera approdo tranquillo a Charleroi accolti alla grande da Marie France, in assenza di Rocco.

Il sabato visita alla vicina Waterloo al mattino e al pomeriggio alla miniera del Bois du Caziere di Marcinelle dove persero la vita tanti minatori italiani nel disastro dell’8 agosto 1956.

Due visite memorabili e, quella della miniera particolarmente toccante. Ma poi la tensione per il grande appuntamento con la Paris – Roubaix ha preso il sopravvento su tutto.

La domenica mattina 15 aprile, il grande giorno della Roubaix.

 

 

Sveglia, colazione con tutti i giornali locali possibili che aprivano con i servizi sulla corsa. A tavolino stendiamo il piano di avvicinamento e partiamo per Arenberg, uno dei luoghi più affascinanti che i corridori attraversano.

 

Il pavè visto da vicino (foto Ferdi)

Una foresta tagliata a metà da uno dei viottoli con il pavè più duro e sconnesso che possa esistere. Arriviamo prima ad Haveluy, tratto di pavè contrassegnato con il numero 19

(dovete sapere che tutti i tratti di pavè che la corsa incontra sono contraddistinti da un numero in ordine decrescente, insomma una cosa che credo piaccia molto al nostro amato Direttore).

 

 

Da qui proseguiamo seguendo con la macchina l’itinerario della corsa, con circa quattro ore di anticipo sul passaggio dei corridori. Incontriamo la vettura dell’organizzazione incaricata di perlustrare il percorso; l’addetto è gentilissimo, si ferma a parlare con noi

fornendoci tutte le delucidazioni del caso e alla fine ci regala il programma ufficiale della competizione con tante preziose indicazioni.

Ancora qualche chilometro e raggiungiamo la foresta di Arenberg. Siamo ad Arenberg! E’ mezzogiorno in punto, i corridori sono attesi fra le 14 e le 14.45. Ci metto circa mezzora a realizzare che è proprio vero, che sono lì.

 

L’inviato dell’Eco di Roccasecca

Lungo la strada il pubblico è già numerosissimo, c’è aria di festa; musica, griglie a pieno ritmo, birra a volontà. Tutti sorridono e si divertono, intere famiglie in camper che scelgono il posto e si piazzano.

Confesso la mia emozione, non riesco a star fermo e lascio Mario, Dondolo e Antoine avviandomi lungo il pavè che attraversa la foresta. Sono più di due chilometri e mezzo che mi faccio due volte da cima a fondo fermandomi spesso ad osservare tutto ciò che c’è intorno. Gli alberi, i sassi del pavè, le banchine nere più di carbone che di terra, i fossi laterali di solito stracolmi d’acqua e nell’occasione eccezionalmente secchi.

Mi inoltro anche nella foresta e trovo un pezzo di pavè evidentemente divelto in precedenza: non ci penso due volte, lo recupero e lo porto con me. Adesso campeggia in ufficio, sulla mia scrivania. Poi è tempo di ritornare in posizione quasi a metà del pavè di Arenberg, proprio in mezzo alla foresta.

 

Sta passando colui che vincerà

L’atmosfera è veramente particolare, con la gente in religiosa attesa sempre più fitta e intensa man a mano che la corsa si avvicina. Quando il primo corridore imbocca la Troueé d’Arenberg, come dicono qui, capisco finalmente che cosa è veramente la Parigi – Roubaix.

 

 

Gli atleti ballano sulla bicicletta come se fossero su un cavallo imbizzarrito e devono tendere allo spasimo muscoli, tendini e tutto quello che hanno per cercare di restare in sella.

Proprio davanti a noi succede di tutto; in un tratto di circa duecento metri c’è chi rompe una ruota, chi cercando la

banchina laterale per sfuggire per qualche metro al terribile pavè scivola inesorabilmente nel fosso, chi spacca un tubolare, chi cade e chi semplicemente mette il piede a terra.

 

 

Una delle tante forature

E’ un inferno, appunto "l’inferno del Nord" come recita uno degli appellativi classici della Roubaix. Capisco che non è un modo di dire, un luogo comune, ma la dura realtà che ogni corridore che decide di misurarsi con questa "splendida follia" deve affrontare. Arrivare alla fine, entrare nel velodromo di Roubaix è già un gran risultato.

Rimango impietrito davanti a questo spettacolo incredibile, fissando i volti neri della polvere di carbone dei corridori rappresi nelle smorfie di fatica e di dolore. Confesso che li abbraccerei tutti.

Poi mi guardo intorno e realizzo che la gente fa un tifo infernale per tutti.

Si, per tutti, non solo per Tom Boonen idolo locale o per Fabien Cancellara piuttosto che per Alessandro Ballan.

Per i tifosi accorsi lì i corridori sono davvero tutti uguali, tutti meritevoli di essere applauditi e sostenuti nel loro immane sforzo. Belgi, francesi, svizzeri, tedeschi, spagnoli, portoghesi, australiani, moldavi, ucraini, russi, colombiani, non fa differenza alcuna.

Posso affermare che per la prima volta nella mia vita ho visto il Vangelo applicato allo sport professionistico.

E’ successo lì, nella foresta di Arenberg, sui sassi appuntiti della Trouveè d’ Arenberg dove tutto il pubblico accalcato lungo il percorso applaudiva e incoraggiava con più calore gli ultimi corridori che arrancavano sui pedali ormai pesantemente distaccati dai primi. Quei corridori che avevano già perso ogni speranza sia di vincere che di ottenere un buon piazzamento, ma che continuavano ad andare avanti spinti dall’orgoglio di voler arrivare comunque nel Velodromo di Roubaix per tagliare il traguardo.

 

Anche noi siamo arrivati nel Velodromo

Questo è l’effetto di una corsa davvero magica, che sembra uscita dai libri delle fiabe del nord tanto che forse non mi sarei meravigliato se nella foresta avessi visto spuntare un folletto. Una corsa che non è una semplice ricostruzione storica di qualcosa di antico, ma che conserva dentro di sé l’essenza più profonda non solo dello sport più genuino ma anche del senso autentico della vita. La voglia di impegnarsi, di farcela comunque, di superare prima di tutto i propri limiti interiori prima ancora che le avversità esterne. Forse è questo che avvince e che regala emozioni indescrivibili, che non si possono trasmettere se non si vivono e non si sentono in prima persona.

Una corsa dagli infiniti significati, che scatena passioni, emozioni, sogni, forse dimenticati ma presenti nel nostro profondo.

 

"L’Inferno del Nord"

"La dure des dures" ( la dura dei duri), "L’Infer du Nord" o semplicemente "la Reine", la Regina, sono diversi gli appellativi usati per definire la Parigi Roubaix.

Permettetemi di aggiungerne un altro di mio conio, senza l’ambizione di ritrovarmelo citato su libri e giornali, ma soltanto per cercare di dare il senso di ciò che per me è la Roubaix:

"La corsa degli Ultimi".

Degli Ultimi sognatori, degli Ultimi appassionati del ciclismo autentico e dei valori genuini dello sport, degli Ultimi arrivati che per un giorno sono sullo stesso gradino del vincitore.

Perlomeno sul podio che alla Roubaix si trova nell’animo di tutti coloro che accorrono a vederla per ritrovare fra le foreste, il carbone, la polvere, i sassi, il pavè e i visi neri e stravolti dei corridori il senso di una realtà vera, diversa dalle mistificazioni e dalle ingiustizie e dalle miserie che tutti i giorni ci vediamo scorrere davanti nella nostra esistenza quotidiana.

Una realtà dove l’uomo ritorna ad essere comunque il protagonista, sospeso fra i suoi limiti e le sue paure e la voglia di superarli ed andare lontano. Arrivare a Roubaix.

Ferdi

Fotografie di Mario Trapper eccetto dove indicato