In morte di un amico

 

Il fuoco ardeva a fatica, quasi sopravvivendo alla legna bagnata che avevamo raccolto in fretta e furia fra l’imbrunire che diventava sera e la pioggia che, leggera ma insistente, non smetteva di accompagnarci fin da quando eravamo partiti per quell’uscita invernale di fine settimana.

Con l’umidità nelle ossa e la stanchezza del cammino fatto per arrivare al rifugio della Forestale, sulla montagna meta del nostro campo, alla fine ci eravamo stretti intorno al classico bivacco Scout, dopo aver mangiato qualcosa.

Con il corpo intorpidito cercavo di mettere d’accordo la durezza del terreno con il mio desiderio di trovare una posizione accettabile per riposare.

Fu in quel momento che dalla chitarra di Angelo cominciarono ad uscire quelle note che, come d’incanto, mi catturarono interamente e piano piano mi trasportarono in un mondo di favola. Come in un sogno la fatica scomparve e fu come se il mio corpo si sollevasse dal duro giaciglio per volare via insieme alla magia di quella canzone.

Era "La ballata del Michè", e per me fu il primo incontro con Fabrizio De Andrè e l’inizio di un amore sconfinato per quel poeta e tutto ciò che egli ha rappresentato.

I versi e la musica di quella canzone, e delle altre che subito dopo Angelo eseguì di seguito, per me furono una rivelazione che spalancò davanti agli occhi dei miei dodici anni un mondo fatto di storie malinconiche ricche di perdenti, emarginati, disadattati, umiliati, "diversi", ma pervaso di una umanità vera e

 

di una intima e commossa partecipazione da parte di chi quel mondo aveva sentito il bisogno di raccontare.

Ricordo con estrema precisione la "scaletta" casuale, ma nella mia mente indelebile, che Angelo seguì quella sera. Dopo il primo brano suonò e cantò "Il gorilla", "La città vecchia", "Il testamento", "La canzone di Marinella". Poi con il suo solito stile scanzonato Angelo cominciò a divagare passando ad altro, ma alla fine su mia precisa richiesta tornò a De Andrè suonando "Via del campo".

Da quella indimenticabile sera nella mia mente De Andrè è rimasto sempre indissolubilmente legato ad Angelo "Scienziato", tanto che quando Patrizia mi ha telefonato in ufficio per darmi la notizia della scomparsa di Fabrizio ho automaticamente pensato a come farlo sapere ad Angelo in Australia.

Credo che questo Angelo non lo abbia mai saputo, probabilmente avrei poi ugualmente conosciuto e amato De Andrè, ma da sempre io sento di dovergli tanto per il regalo che mi fece quella sera.

 

 

 

Addirittura qualche anno dopo Angelo, che faceva il centralinista a Genova, mi telefonò a Roccasecca perché aveva trovato il modo di farmi parlare telefonicamente con De Andrè. Sfortunatamente non ero in casa; ancora adesso rimane per me un enorme rimpianto per aver mancato quell’appuntamento procuratomi da Angelo a mia insaputa.

Cominciai a cercare tutti i dischi in commercio e ricordo che per anni non riuscii ad avere "La città vecchia" in quanto allora non incisa, così che ogni volta che vedevo Angelo lo costringevo a suonarla.

Attraverso i suoi versi, le sue ballate, la sua poesia Fabrizio mi ha aiutato a crescere e a sognare un mondo migliore: libertà, pace, rispetto per gli altri, soprattutto per chi non la pensa come te, solidarietà verso i più deboli, la necessità di capire prima di giudicare, l’interesse per gli umili, i poveri, gli sfruttati, i rifiutati, una fede "umana", cose che trovi in tutte le sue canzoni vestite con la sua musicalità dolce e graffiante nello stesso tempo e narrate con quella sua voce da brivido. E’ stato sempre "fuori moda" De Andrè, uno per il quale la coerenza più che una scelta è stata una inseparabile compagna di vita, il rimanere appartato lontano dalle luci della ribalta non la voglia snobbistica di un aristocratico distacco, ma semplicemente il modo per andare d’accordo con se stesso e la sua timidezza; è stato uno che chiunque lo abbia amato non lo ha fatto per caso e non si è mai stufato o pentito di averlo fatto. Amare le sue canzoni è quasi come avere una carta d’identità: quando vieni a sapere che a qualcuno piace De Andrè conosci già un po’ del suo animo.

 

 

Qualcuno nelle cronache del suo funerale ha scritto che "a guardare ogni faccia di quelli che c’erano si poteva scoprire in ognuno il perché uno con quel volto aveva amato il cantautore".

Infatti quel giorno tutti quelli che c’erano si sono comportati da innamorati, non da fans. Nessuno è andato sopra le righe, nessuno ha dato la caccia ai VIP che pure c’erano, come di solito accade invece in simili circostanze, nessuno ha urlato; solo lacrime, un saluto, un bigliettino o un fiore e, al massimo, qualche verso delle sue canzoni cantato con il groppo in gola, quasi sottovoce.

 

 

Ho letto una cosa molto bella: una maestra ha portato in chiesa la sua scolaresca, diciannove bambini di cui cinque di colore con uno striscione composto dai loro disegnini e dalle loro poesiole dedicate a Fabrizio.

 

Sicuramente lui avrebbe apprezzato tantissimo l’omaggio e oggi ai ragazzini ascoltare De Andrè serve: serve più ascoltare una sua canzone, sul valore della tolleranza, sul rispetto delle minoranze e dei più deboli che ascoltare mille discorsi.

Lo dico con l’esperienza di quella sera con i miei dodici anni e la chitarra di Angelo "Scienziato".

Ciao Fabrizio, ciao.

Sei in paradiso perché, come tu hai scritto, "non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio".

 

Ferdinando