L’Eco di Roccasecca
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Anno 16 n. 81                                                   Agosto 2011
Ostia (Roma) 18 luglio 2011 (questo poster è in condizioni peggiori di quello di  Boretto, Rita e Riccardo hanno dovuto togliere 5/6 metri  di nastro adesivo utilizzato da qualche sprecone demente  prima di poterlo staccare!)  E meno male che questo 2011, per certi versi e vicende  sinora da dimenticare, è anche il quarantesimo dopo il  1971. Cioè, tradotto in musica, il quarantesimo dalla  pubblicazione di Aqualung il capolavoro firmato Jethro  Tull.   Una pietra miliare nella storia della musica moderna e  non solo del Progressive Rock, una gemma che ogni volta  che la si riascolta continua a produrre vibrazioni ed  emozioni vive e intense.  Questa ricorrenza è giunta provvidenziale, visto che i  Jethro Tull hanno deciso di mettere in scena quest’anno  un tour tutto incentrato proprio sul quarantennale di  Aqualung.   L’aggiunta in extremis ma quanto mai opportuna della  data del 18 luglio presso il Teatro Romano di Ostia Antica  al loro breve giro italiano, solo altri quattro appuntamenti  da Asti a Boretto, da Brescia a Cattolica, ha permesso a  me e a Riccardo di non mancare questa volta.   Già perché nel 2010 lo stesso concerto, sempre ad Ostia  Antica, era stato fissato per il 14 luglio. Purtroppo i Jethro  Tull non erano stati avvertiti che quel giorno si sarebbe  celebrato il sessantesimo genetliaco del nostro  webmaster e infatti il concerto andò praticamente  deserto… Io e Riccardo tentammo disperatamente di metterci in contatto con Ian Anderson e soci per  segnalare la nefasta, per loro ovviamente, coincidenza ma non ci fu verso di evitarla.   Però i nostri messaggi hanno avuto almeno l’effetto di far si che per quest’anno la data sia stata  cambiata.  Detto questo e chiusa la parentesi, quest’anno il 18 luglio alle 21,30 eravamo puntualmente  seduti sulle scale dello splendido Teatro Romano di Ostia Antica, insieme a Rita altra  affezionatissima cultrice del gruppo.   (Gli inviati dell’Eco, Rita, Ric e Ferdi) Dopo un incredibile siparietto all’ingresso, con i venditori di magliette e gadget costretti da due  solerti vigili urbani a cambiare di volta in volta posizione perché “voi siete degli ambulanti quindi  non potete restare fermi nello stesso posto”, siamo riusciti anche a comperare la consueta  maglietta celebrativa dell’evento. Naturalmente è stato un po’ complicato pagare mentre gli  ambulanti spostavano gli alti stand che oscillavano come barche a vela sotto una tempesta con  le magliette che volteggiavano a destra e a sinistra proprio come vele in balia del vento!   Il nostro amato Direttore è stato pericolosamente colpito ben due volte dalle “vele” impazzite,  come se il volto impressionate del vecchio barbone Ian Anderson dalla copertina di Aqualung  riprodotta sulle magliette volesse aggredirlo…  Poi dentro.   Due panini consumati al volo, ma stavolta la qualità non era nemmeno paragonabile a quelli di  cui di solito ci fornisce Miria, una risata con Riccardo che avrebbe voluto provocare la sua  aggressione da parte di una delle due “maschere” che vigilavano l’ingresso del costosissimo  settore platea ( soggetto assolutamente degno di attenzione tranne che per chi coltiva gusti  “gianneschi”) ed ecco che la magia si ripete.  (Il doveroso ristoro prima dello show - Foto Rita) Entrano in quattro, il piccolo Martin Barre e la sua chitarra, il gigantesco Doane Perry dietro la  sua batteria, l’azzimato David Goodier al basso e l’impeccabile e occhialuto John O’Hara alle  tastiere. Il tempo di attaccare le note di Living in the Past ed ecco irrompere Ian Anderson in  una mise stranamente sobria, tutto in nero con l’immancabile bandana.  Dall’esecuzione di Living in the past ci accorgiamo subito che siamo di fronte ad un concerto  diverso sia nella scelta dei brani che compongono la scaletta che nell’esecuzione stessa.  Intanto i pezzi di Aqualung, assolutamente predominanti nella lista come potrete leggere di  seguito.  E poi una vitalità e un’energia non certo da sessantenni, una grande cura del particolare, una  riproposizione molto fedele alle esecuzioni originali.   Un concerto che ci siamo goduti dalla prima all’ultima nota, sempre attratti dalla vitalità e  dall’ironia di Ian Anderson pronto a commentare ogni brano e a catturare con il suo flauto  ciascuno di noi per trasportarlo in altri mondi. L’apoteosi viene raggiunta con Aqualung, eseguita  magnificamente bene e con lo stile pulito e nitido degli anni settanta  Non sono mancate le sfumature e i particolari sempre fondamentali per la godibilità del pezzo,  come l’iniziale voce in falsetto. Il trascinante bis con Locomotive Breath a chiusura di un serata  che ci è servita per liberare la mente. In una intervista del marzo 1971 alla rivista Disc and  Music Echo, Ian Anderson disse: "Locomotive Breath è un'altra canzone sul morire (...) è una  analogia dell'infinito viaggio sul treno della vita, non lo puoi fermare, ci devi barcollare sopra."   Un’arte difficile imparare a “barcollare”sul treno della vita che tanti scossoni produce e che  spesso ci sembra volerci gettare fuori dal finestrino come le famose valigie di Totò. Serate come  quella del 18 luglio aiutano a continuare ad avere voglia di imparare.  Ferdi La scaletta del concerto I titoli scritti in tempo reale dal Direttore sul suo “taccuino dei concerti” Il concerto è iniziato alle 22:51 sulle note di Living in the Past, dall’omonimo album del 1972.   Di seguito la celeberrima Thick as a Brick (1972), poi Ian Anderson ha introdotto il  quarantennale di Aqualung (1971) presentando Up To Me.   Quindi la “sorpresa” In the Grip of Stronger Stuff, da Divinities  (1995), poi Farm on the Freeway  (da Crest Of A Knave, 1987), Mother Goose (Aqualung), Heavy Horses in una versione di oltre 9  minuti, dall’omonimo disco del 1978.  E’ la volta di Wind Up (bellissima lunga versione, molto simile a quella originale in studio,  sempre da Aqualung).   Arriva il momento di Bouree, che Ian annuncia come un brano scritto circa 300 anni fa da un  signore di nome Johann Sebastian Bach, di cui un giorno qualcuno (Ian!!!) volle riproporre una  versione jazz, la peggiore mai fatta!   Seguono altri due brani da Aqualung, Hymn 43 e la splendida My God e poi il gran finale con tre  lunghissime Budapest (ancora da Crest Of A Knave, 1987), Aqualung e Locomotive Breath  (entrambe, ovviamente, dall’onnipresente Aqualung).  Parecchie le differenze rispetto alla set list del 2008; sono spariti tutti i brani dai primissimi  album This Was, Stand Up e Benefit che l’avevano fatta da padroni tre anni fa, ma se ci pensate  è pure giusto così. Quello era il Tour del Quarantennale del Gruppo e vennero suonate le canzoni  che ne avevano caratterizzato gli inizi,  mentre stavolta è stato favorito il disco a cui è stato  dedicato il tour del 2011.  Tornando all’esibizione di lunedì sera ci tocca biasimare il comportamento di alcuni spettatori che  a metà di Budapest hanno abbandonato il settore privilegiato e sono andati via. Probabilmente  possessori di biglietti omaggio che non hanno capito nulla di cosa succedeva… non per questo  meno censurabili! Se ne sono andati prima del finale spettacolare!! Direi da gogna!  Rimane poco da aggiungere ad una serata che come è già stato scritto da Ferdinando è stata  positiva in ogni suo aspetto, dai simpatici aneddoti pre-concerto allo spettacolo magnifico, senza  dimenticare la compagnia di tre aficionados dei Jethro Tull che sanno apprezzare il meglio da  occasioni come questa. Un ultima considerazione sul luogo dove si è svolto il concerto. Una atmosfera decisamente  suggestiva quella che si crea nel Teatro Romano di Ostia Antica.  Situato all'interno dell’interessantissimo sito degli scavi archeologici di Ostia Antica, originario  dell’età di Augusto, si raggiunge dopo una bella camminata sull’acciottolato originale, passando  per il Piazzale delle Corporazioni. Dalle gradinate si vede molto bene, anche se la prossima volta  porteremo dei cuscinetti da stadio per mantenere più morbide le graziose terga.  Il nostro lungo reportage termina con una domanda che ci facevamo la sera del concerto: ma  quando mai colui che inconsapevolmente ha dato il nome ai “nostri”, l’agronomo Jethro Tull,  inventore nel 1701 della prima seminatrice meccanica, avrebbe pensato che 300 anni dopo ci  sarebbero state centinaia di persone saltellanti e al suo nome inneggianti?  Per l’Eco di Roccasecca Rita, Ric e Ferdi da Ostia e Rob da Boretto 
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