L’Eco di Roccasecca
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Anno 17, n. 84		                                            Agosto 2012 Anno 17, n. 84		                                            Agosto 2012
HITCHCOCK, LABIRINTI D’ANSIA Alla cerimonia del prestigioso premio  dell’A.F.I. (American Film Institute)  consegnato a Alfred Hitchcock a Los  Angeles nel 1979, François Truffaut iniziò  l’omaggio al Maestro pronunciando una  frase entrata nella memoria collettiva di  molti critici, studiosi e appassionati di  cinema: “In America voi chiamate  quest’uomo Hitch, in Francia noi lo  chiamiamo Monsieur Hitchcock”.   Truffaut voleva così sottolineare la  differente percezione che si aveva di  Hitchcock sulle due sponde dell’Atlantico:  ad Hollywood, Hitchcock era stato il  Maestro della suspense, in Francia veniva  considerato un Maestro del cinema.   Questo cambiamento di prospettiva e  considerazione nei confronti di Hitchcock  avvenne verso la metà degli anni  cinquanta in Francia, quando un gruppo di  critici cinematografici appartenenti alla  rivista Cahiers du cinèma iniziò una  riflessione (passata alla storia del cinema  come Politica degli autori) in cui  rianalizzava e rivalutava alcuni registi  hollywoodiani, tra i quali, oltre ad  Hitchcok, ricordiamo John Ford.   Quei critici francesi erano conosciuti con l’appellativo di Giovani turchi, per via della loro  virulenza e passionalità nel compiere analisi a volte azzardate, tra loro Jean-Luc Godard,  Jacques Rivette, Eric Rohmer, Calude Chabrol e naturalmente François Truffaut,  diverranno tutti registi a loro volta e saranno i protagonisti della Nouvelle Vague.  Hitchcock, 1956, di Rohmer e Chabrol è la prima monografia dedicata al regista,  seguiranno altri articoli e saggi, fino ad arrivare al 1963, quando Truffaut pubblica Il  cinema secondo Hitchcock, un volume in cui analizza con il Maestro tutti i suoi film,  dall’incompiuto Number Thirteen (1922) a The Birds (1963); nelle edizioni successive  Truffaut scriverà un’appendice, in cui parlerà dei film successivi, da Marnie a Complotto di  famiglia, l’ultimo film di Hitch un testo quello di Truffaut divenuto in breve un classico  della bibliografia del cinema. Hitchcock come regista si forma in Inghilterra, infatti nasce a  Leytonstone (nella parte nord orientale di Londra) il 13 agosto 1899. A ventiquattro anni  inizia a lavorare nel cinema, alla Gainsborough Pictures dove si occupa di tutto, dalla  sceneggiatura, ai disegni, dai titoli alle scenografie fino al montaggio e all'aiuto regia. Nel  1925 gira il primo film interamente suo, intitolato The Pleasure Garden, tratto da un  romanzo di Oliver Sandys,  una storia “melodrammatica e movimentata” ricorderà  Hitchcock a Truffaut. Per il primo film di successo bisogna aspettare appena un anno, è  infatti il 1926 quando esce The Lodger: A Story of the London Fog (Il pensionante), tratto  da un romanzo di Maria Adelaide Belloce-Lowndes; in questa pellicola troviamo uno dei  temi ricorrenti della poetica hitchcockiana: l’innocente accusato ingiustamente di un  crimine, che dovrà impegnarsi per scagionarsi. Critica e pubblico sono entusiasti e  Hitchcock capisce di aver fatto centro: quella per il cinema non è più solo una passione,  ma può diventare un mestiere remunerativo.  Il 1926 è una data importante  anche per la vita privata del  regista, infatti sposa Alma che  rimarrà al suo fianco per sempre,  una longevità sentimentale  abbastanza rara nel mondo del  cinema.   The Lodger è importante anche  per un altro aspetto, è il primo  film in cui appare Hitchcock in  carne ed ossa, cameo, che salvo  poche eccezioni, sarà ripetuto  anche nelle pellicole successive.   L’ascesa di Hitchcock prosegue,  Downhill (Il declino, 1927), Black  Mail (Ricatto, 1929) , Murder!  (Omicidio, 1930) The Man Who  Knew Too Much (L’uomo che  sapeva troppo, 1934, rigirato poi  ad Hollywood nel 1956, con protagonista James Stewart), The Thirty-Nine Steps (Il club  dei 39, 1935), fino a quando nel 1939 il potente produttore hollywoodiano David Selznick  chiama Hitchcock ad Hollywood, il trampolino di lancio definitivo per la consacrazione  mondiale.  Il primo film di cui trattiamo è Shadow of a  Doubt (L’ombra del dubbio, 1943), uno dei  preferiti da Hitchcock stesso.  La storia, dopo un breve prologo in una  metropoli, si svolge a Santa Rosa una  cittadina di provincia, dove tutto appare  filare liscio, fino all’arrivo del sulfureo  Charles, annunciato dall’inquadratura di un  treno che entra in stazione, spargendo il  fumo nero che esce dalla locomotiva (nera  anch’essa) sulla candida stazione. Chi è  Charles? È un poco di buono, Hitchcock ce  l’ha fatto vedere nel prologo mentre si  sottrae al pedinamento-inseguimento di  due detective.   Cosa abbia fatto non lo sappiamo, ma di certo ci lascia straniti la facilità con cui evita la  cattura, infatti Charles è come se si dissolvesse alla vista dei due malcapitati inseguitori;  per poi riapparire perfettamente in ordine, senza una goccia di sudore o un capello fuori  posto. Il dubbio che s’insinua è che forse abbiamo di fronte un vampiro. Fantasie? Forse, ma  andiamo avanti. Charles decide di trasferirsi per qualche tempo dalla sorella e la  raggiunge.  Con l’arrivo di Charles la sottile ombra del male s'insinua nel piccolo paradiso di provincia.  Un dato caratterizza tutto il film ed è la relazione ambigua tra lo zio Charles e la nipote  Charlie.   Ambiguità conclamata da Hitchcock prima ancora dell’incontro tra i due, con ricorrenti  sequenze nelle quali zio e nipote pur spazialmente in posti diversi (lui ancora nella  metropoli, lei a Santa Rosa) sono ripresi dalle stesse angolazioni, mentre compiono gli  stessi gesti, si capisce come vivano un rapporto privilegiato, basato su una subliminale  comunicazione che sfugge a tutti gli altri.  Una volta riuniti a Santa Rosa Zio Charles e Charlie saranno presenti insieme nella  stragrande maggioranza delle inquadrature del film, fino all’epilogo.   Charlie è una ragazza per bene, intelligente, profonda, di una bellezza composta, eppure  viene attirata in un vortice nel quale rischia di perdere la vita. Infatti quando si accorge  che lo zio è un pluriuxoricida, non esita a cercare di smascherarlo e l’altro cercherà di  evitare di essere smascherato.  Non riveliamo il finale, per non rovinare la  visione a chi eventualmente volesse  vederlo, ma prima di concludere facciamo  qualche altra considerazione.  Rimaniamo ancora su Charlie, una volta  conosciuto il male attraverso Zio Charlie ha  perso la sua innocenza. Questo accade  perché Hitchcock è convinto che la purezza   del  Bene nel momento in cui viene  contaminato dall’impurità del Male non  avrà più il suo primordiale candore, l’aver  contemplato il torbido gli ha svelato  l’esistenza di qualcosa di profondamente  diverso dalla propria essenza e il ricordo  dell’altra faccia di sé rimarrà indelebile.   Hitchcock insiste molto sul confronto  Bene/Male (e continuerà a farlo nei film  successivi) esalta la dialettica tra ordine  (Charlie) e trasgressione (Zio Charles) fino   al  “duello” finale.   Un’altra considerazione riguarda una  ripetuta situazione in cui Hitchcock ama  rinchiudere i suoi personaggi, in particolari  quelli che devono salvarsi: con l’arrivo  dello Zio Charles si viene a creare un  piccolo gruppo chiuso (che coincide con la famiglia di Charlie, formata dai genitori, da una  sorella e da un fratello, entrambi più piccoli) che si trasforma in un microcosmo simile ad  una trappola mortale, da cui è pressoché impossibile fuggire, evadere senza lottare con  tenacia.  Hitchcock, appena arrivato ad Hollywood ricordiamolo, compie una rottura dello schema  classico del cinema hollywoodiano, sommariamente riassumibile in tre fasi:  1. ordine.  2. trasgressione (pericolo/minaccia).  3. ripristino dell’ordine e della sicurezza.  l'ordine (Santa Rosa, Charlie) viene sconvolto dalla trasgressione (lo Zio Charles), ma alla  fine non tutto è come prima.   Shadow of a Doubt ha evidenti squilibri temporali, come spesso accade a Hitch. La prima  parte (57’) scorre più lentamente della seconda (46’) che va dalla scoperta delle  malefatte di Zio Charles, ai drammatici eventi che precedono il tragico finale. Questo  perché nel cinema di Hitch il tempo è un’astrazione, ha un valore meramente soggettivo,  ciò gli consente di concentrare in una durata minima il massimo degli eventi a dispetto  della verosimiglianza.   Perché l’obiettivo finale di Hitchcock è sempre quello di emozionare il pubblico, di  trascinarlo a seguire con il fiato sospeso le vicende da lui narrate sullo schermo, ma come  abbiamo incominciato a vedere con Shadow of a Doubt è la forma della messa in scena a  suggerire che Hitchcock non sia solo un grande narratore di cinema, ma un innovatore  dello stesso linguaggio cinematografico.   Continueremo a parlarne dalla prossima volta, quando ci occuperemo di Notorius.   Gianni Sarro