L’Eco di Roccasecca
Sito Promozionale di Cultura del Basso Lazio dell' Associazione onlus PRETA Via Sotto le mura snc - 03041 Alvito (FR) p.i. 02194120602 CIOCIARI.COM   © pretaonlus 2000-2010 - ciociari @ pretaonlus.it
Anno 18, n. 86		                                            Maggio 2013 Anno 18, n. 86		                                            Maggio 2013
Ferdinando ricorda Enzo Iannacci
L'omelia di don Roberto Davanzo, direttore della Caritas di Milano, iniziava così "Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale, per vedere se la gente poi piange davvero". In chiesa la gente piangeva davvero al suo funerale. Enzo Jannacci ha smesso di cantare il 29 marzo scorso, a 77 anni, e in chiesa per l'ultimo saluto c'erano i tanti amici dal nome famoso ma anche i poveretti sen-za nome e magari senza casa per i quali lui aveva composto e cantato canzoni come "El purtava i scarp del tenis". Lo ha ricordato lo stesso don Roberto durante l'omelia citando la canzone cantata in un milanese che Jannacci trasformava "in un esperanto dell' emarginazione e della denuncia di ogni indifferenza". In effetti ad Enzo piaceva molto cantare nella lingua del suo popolo, dei senza potere, di quelli che hanno popolato le sue canzoni.   L'elenco sarebbe troppo lungo, non si limita al "barbun" che purtava i scarp del tenis, o al famoso "villano" di "Ho visto un re" oppure al tossico di "Se me lo dicevi prima" tanto per citarne qual-cuno. Il tutto vestito di una poesia, spesso malinconica sino ad essere struggente come nella splendida "Vin-cenzina" scritta a quattro mani con il grande Beppe Viola, cantata con quell'aria stralunata e sognante che lo accompagnava sempre. Sul palco e fuori. Mario Monicelli da "Vincenzina e la fabbrica" prese l'ispirazione per il suo capolavoro "Romanzo Popolare" con Ugo Tognazzi e Ornella Muti e volle che fossero proprio Enzo Jannacci e Beppe Viola a scrivere i dialoghi del film.     E' difficile inquadrare Enzo Jannacci nei canoni tradizionali degli artisti. La sua arte è stata il rock, memorabili le sue collaborazioni con Giorgio Gaber suo "fratello" di chitarra come gli ho sentito dire dal palco, ma anche con Celentano e l' urlatore Tony Dallara.  La sua arte è stata il cabaret, che ha praticamente inventato in Italia come satira politica. Indimenticabili le sue gag e i suoi pezzi con Dario Fo e Cochi e Renato, una vena ironica e pungente che lo porterà ad incappare nell'immancabile censura Rai nel 1968 quando voleva presentarsi in finale a Canzonissima cantando "Ho visto un Re". Censura replicata senza pietà 13 anni dopo quando nel 1981 recita, sempre in Rai, uno dei suoi monologhi al vetriolo con il celebre verso ": "La televisiun la t'endormenta cume un cuiun".  Si può dire che Jannacci, con Dario Fo e Giorgio Gaber, sia stato uno dei maestri della satira politica che tanti emuli, più o meno credibili, ha poi avuto nel nostro Paese. La sua arte è stata anche il Jazz, con Stan Getz, Gerry Mulligan, Chet Baker, Franco Cerri. La sua arte è stata la capacità di giocare con le parole, ma mica tanto. Perché raccontava quelle persone che nessuno aveva mai osato. Barboni, prostitute, gente di malavita.     Raccontava Milano, anche, ma con un occhio su tutto il resto del Paese. Ria-scoltatevi "Sun chi". Racconta di quelli del Sud che arrivavano con la "piena", e alla fine tutti abbiamo un nonno un parente che da quella piena del boom economico risorse per poi venirne soffocato. Non era solo Milano, anzi. Lo ha fatto con la sua musica e con grande leggerezza. "Solo Jannacci", scrive Gianni Mura, "avrebbe potuto raccontare la storia di un soldato terrone e chiamarlo Nencini, un cognome toscano". Ad un certo punto piantò baracca e burattini e seguendo l'altra sua passione, la medicina, andò in Sudafrica a lavorare con Barnard mago dei primi trapianti di cuore. Proseguì negli Stati Uniti una carriera molto promettente ma poi decise di tor-nare in Italia, di ricominciare a scrivere e comporre. E di ricominciare con la guardia medica e lo studio dove curava quegli stessi personaggi che cantava nelle sue canzoni. Dori Ghezzi ha di re-cente rivelato che fu Jannacci ad ispirare Fabrizio De Andrè nel comporre Via del Campo. Molto diversi eppure si-mili, nel modo di guardare alla vita, nell'attenzione agli ultimi. Simili anche nella filosofia di vita del "non apparire". Ostinati e contrari in un'epoca in cui apparire sembra essere l'unica cosa che conta. In qualunque modo. E allora di-ciamo che per capire Enzo Jannacci e il suo mondo " Ci vuole orecchio".  Anche adesso che riposa al Famedio di Milano, vicino al suo compagno Giorgio Gaber.   Fred
A completare il pregevole contributo di Fer-dinando aggiungiamo una chicca trovata negli archivi dell'eco, ossia il retro di uno dei 45 giri citati da Ferdi, che riportava la "traduzione in Italiano". Sul disco c'era una frase che recitava così: "Abbiamo ritenuto, data la particolare im-portanza dei testi delle canzoni di Jannacci ai fini dell'esatta comprensione dell'atmosfera così caratteristica del mondo poetico del nostro artista, di riportare una libera traduzione in italiano del testo originale in dialetto milanese, onde permetterne la comprensione anche al pubblico che non ha familiarità con questo particolare linguaggio."  Seguiva il testo della canzone in lingua italiana. Cantato: Scusate, ma vi voglio parlare di un mio amico che era andato a fare un bagno sullo stradone, per andare all'Idroscalo era lì, l'amore lo colpì. Portava le scarpe da tennis, parlava sempre da solo rincorreva già da tempo un bel sogno d'amore. Portava le scarpe da tennis, aveva due occhi da buono era il primo a "esser portato via", perché era un barbone. Un mezzogiorno, mentre stava parlando da solo, l'aveva vista passare bianca e rossa, che pareva il tricolore ma poi lui non era stato capace di parlare. … Parlato: Un bel giorno vicino a questo povero diavolo si ferma una automobile. Ne discende un tale che gli dice "Ohe!" "A me?!" "Sì, a lei, non saprebbe per caso indicarmi la strada per andare all'aeroporto Forlanini?" "Non so dov'è l'aeroporto Forlanini, signore, non ci sono mai stato".  "La strada per andare all'Idroscalo, la conosce?" "L'Idroscalo sì che lo so dov'è, signore! L'accompagno io all'Idroscalo! Vengo su anch'io sulla macchi-na, non son mai stato su una macchina io!" "Lascia stare la macchina, barbone, dimmi piuttosto la strada per l'Idroscalo se la cono-sci" …"No no, vengo anch'io sulla macchina, mi porti con lei sulla macchina". "Va be, sal-ga"  "Bella questa macchina... Va forte que-sta macchina … , non son mai stato io su una macchina … Ferma signore, che io sono arrivato! Mi lasci giù che io sono arrivato all'Idroscalo!"  … "Come, arrivato?" … "Sì, mi lasci giù qui, che anch'io … anch'io ho avuto il mio sogno d'amore, roba minima, si intende, roba da barboni". ……. L'han trovato sotto un mucchio di carbone l'han guardato e pareva nessuno l'han toccato e sembrava che dormisse "lascia stare … che è roba da barboni". Portava le scarpe da tennis, parlava sempre da solo rincorreva già da tempo un bel sogno d'a-more. Portava le scarpe da tennis, aveva due occhi da buono era il primo a "esser portato via", perché era un barbone.