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L’Eco di Roccasecca
VENITE CON ME Reportage su un viaggio in  Sri Lanka Testo e foto di Roberto Matassa  Questa nazione grande quanto l’Irlanda ha avuto tanta storia dai tempi remoti, principalmente per il Buddhismo. Io la contemplavo dai racconti di Emilio Salgari per le tante storie esotiche. Portoghesi, Olandesi e Inglesi hanno dominato quest’isola per tanti anni lasciando un marchio della loro cultura. Il mio primo viaggio in Sri Lanka lo feci durante la Guerra nel Vietnam, negli anni sessanta, e ne rimasi così affascinato che ci ritornai negli anni ottanta. Tempi difficili! Apparentemente la tensione etnico/religiosa già era nell’aria! Fra Buddhismo e Hinduismo le anomalie si notavano; per esempio bisognava contemplare le diciture trilingue per i mezzi pubblici, per le strade, etc. La lingua nativa è il  Singalese, e poi il Tamil, originaria del sud dell’India; questa popolazione di Tamil fu incoraggiata dagli Inglesi a spostarsi nello Sri Lanka per la coltivazione del tè. Una volta un educato giovanotto voleva insistentemente farsi apprezzare da me perché’ lui era Tamil. Notavo spesso la pressione politica di una minoranza contro la maggioranza. Ricordo allora negli anni sessanta, erano quattordici milioni di Singalesi Buddhisti, e trecentomila Tamil Hindhuisti.  La popolazione nativa avrebbe dovuto sottostare al credo dei nuovi immigrati. Anche I Portoghesi hanno lasciato … tantissimi cognomi Portoghesi!  C’è un buona percentuale di Cattolici portatori delle nostre tradizioni; una domenica mi rallegrai a vedere tanto entusiasmo a una funzione cattolica e addirittura la processione di Sant’Antonio. Mi sembrava  di rivedere qualcosa come in Italia.  Queste storie e frizioni etniche le avevo notate anche alle Isole Fiji; anche in questo minuscolo stato in mezzo al Pacifico la maggioranza avrebbe dovuto sottostare agli emigranti di origine indiana che gli Inglesi avevano introdotto per la coltivazione della canna da zucchero.  Poi ci dobbiamo ricordare quando il feroce dittatore Idi Amin dada, in Uganda, buttò fuori tutti gli emigranti indiani che furono accolti qui in Gran Bretagna. Peccato perché si tratta di gente tanto laboriosa. Ma dovremmo considerare altri eventi  più seri di questi giorni che non risolvono ancora, come a Cipro, in Palestina e in Irlanda del Nord.  Noi Italiani abbiamo molto da dire in merito ma ancora più da imparare, per come la vedo io, con una discreta dose di patriottismo. La nostra penisola per me, è sacra e gli emigranti arrivano continuamente e sono tanti; e a Prato i Cinesi arrivano col paracadute!  Ridete pure se vi pare ma questi sono fatti. Qualcuno direbbe che noi Italiani siamo stati un popolo tipicamente di emigranti e non dovremmo dimenticare nel “mondo che fu” dal 1890 al 1954, <Ellis Island> nella baia di New York, dove gli Italiani venivano controllati inesorabilmente! Noi Italiani nel mondo non abbiamo tolto niente a nessuno,  semmai siamo sempre stati apportatori della civiltà mediterranea. Noi andavamo in altri paesi con umiltà e non con l’arroganza religiosa, noi ci siamo sempre saputi integrare in qualsiasi paese, pur mantenendo vive le nostre tradizioni. Tempo fa, parlando con un inglese di alta levatura culturale mi disse “cosa sarebbe il mondo senza gli Italiani? Perché la vostra storia è anche la nostra storia; penso alla scienza, all’arte e alla gastronomia  ( ma non solo pizza!)”.  In SrI Lanka mi fu più comodo noleggiare un’auto per gironzolare qua e là; ci sono tanti templi e pagode e tanti posti storici che non sarebbe stato facile raggiungere senza una guida, e l’autista mi portava ovunque. Non era facile prenotare alberghi e mi dovetti arrangiare in condizioni a volte precarie. L’ultima volta negli anni novanta fu pericoloso in quanto era in atto una guerra, vedevo piazzole con soldati e mitragliatrice, ma a noi turisti ci rispettavano, perché’ per loro il turismo è come pane e burro!  Recentemente dicono che questi conflitti sono costati centomila morti. I miei due viaggi  nell’interno di Sri Lanka sono stati uguali.  Si parte da Colombo. Vi faccio presente che la vera capitale non è più Colombo, ma non è molto lontana, circa 8 km ad est, il suo nome non facile da pronunciare; l’autista mi diceva “si chiama una certa PURA PURA COTA ma io capivo verdura cotta! Infatti, si chiama JAYAWARDENAPURA KOTTE !!! La prima volta passai qualche giorno a Kandy in un albergo immenso che durante l’ultima guerra serviva da ospedale per gli Inglesi. Che esperienza, la mensa era in un lungo corridoio e vedevo i camerieri scappare qua e là coi piatti in mano! Per me fu la prima esperienza col cibo pieno di peperoncino; mamma mia, hai voglia a sbadigliare con la bocca spalancata! Ora è giusto dire che mi sbagliavo a criticarla perché ormai la cucina Indiana viene apprezzata in tutta la Gran Bretagna, non se ne può fare a meno.  A Mentale mi trovai di fronte alla famosa “roccia di Sigiriya” alta 200 metri, dove si sale con entusiasmo ma si scende con ansia specialmente per chi soffre di vertigini. Una sosta a Nuwara Eliya fra le colline dove c’era tanta frescura benvenuta.  Una graduale discesa e circondato dalle risaie venivano le coltivazioni del tè, la cui esportazione apporta il maggior reddito a questo paese. Proprio qui ti fanno assaggiare tè di tante qualità, ma devi imparare a sputacchiarlo!  Questa nazione è geograficamente piccola ma immensamente ricca di cultura. Nei vari giri turistici si attraversano tanti tempi buddhisti con il Buddha giacente e quello verticale e tutti hanno una storia molto sofisticata, pare sia la religione più antica del  mondo Un giorno mi decisi a fare qualcosa di più avventuroso, mi feci portare a fare una gita con una piroga, che più che una barca sembra un tronco d’albero galleggiante; il barcaiolo, Fonseca, mi rassicurava dicendomi che si trattava  di un corto percorso per andare ad ammirare un famoso tempio. Io con i piedi accavallati fuori della piroga, dicevo sì, sì ... va bene!. Era un tardo pomeriggio e si proseguiva nella giungla quasi nel buio, navigando in quel fiume lento, che a me faceva venire pensieri poco rassicuranti. Sulla sponda c’erano dei rami dove erano appesi pipistrelli grandi come galline che al primo rumore svolazzavano e poi riapparivano sui rami appesi sotto sopra. Io dissi a Fonseca “lascia perdere torniamo indietro” ma lui sembrava capire tutto l’inverso e procedeva sorridendo.    Finalmente ci avvicinammo a un lungo muro con una vasta costruzione coperta, dentro la quale sorgeva questo famoso tempio con una statua del Buddha giacente, gigante, tutta dorata. D’improvviso, in quell’ambiente buio, mi venne incontro un monaco dall’atteggiamento penitente, e cominciò a parlare della loro religione; con tanta reverenza parlava un inglese perfetto, mi spiegava del Buddhismo, io lo seguivo per rispetto, e continuavo ad annuire, anche se onestamente capivo ben poco.  Nel semibuio vedevo solo quel monaco con quella faccia livida, forse voleva convertirmi, mi dava un senso di pena e di paura; inoltre io pensavo solo al viaggio di ritorno di notte nella laguna su quella piroga, agli animali che avrebbero potuto avvicinarsi, temevo i coccodrilli, e poco mi convincevano le rassicurazioni di Fonseca che diceva che erano solo “monitors” (varani) sostanzialmente innocui. E io coi piedi nell’acqua mi dicevo “ma chi me l’ha fatto fare”!  A Galle, cittadina di architettura olandese, una sera andai in un pub dove sentivo il pianoforte suonare e una voce cantare “dorme Firenze” . Era un Singalese che negli anni tra il1943 e il 1946 aveva imparato da un prigioniero italiano diverse canzoni. Volli conoscere la storia; questi prigionieri italiani in Sri Lanka vennero portati dagli Inglesi perché non potessero scappare. Questo italiano gli fu come un padre, gli disse che era stato catturato nel 1941 a Bardia dalle truppe australiane. Mi rivenne alla mente, e alle orecchie, la sequenza della guerra in Libia, di Bardia, Tobruk, e Derna e poi a El Alamein. Allora io avevo appena dodici anni, seguivo le notizie sentendo gli anziani fuori al Dopolavoro di Caprile, come fossero risultati sportivi: avanzate e ritirate, l’arrivo del maresciallo Rommel e via di seguito! In effetti a Bardia gli Australiani fecero 38.000 prigionieri, ancora mi sforzo a crederci, eppure fu così. Questi prigionieri dovettero fare quel lungo viaggio nel deserto, verso Suez. Figuratevi  quante sofferenze poi nella traversata da Suez a Colombo tutti ammassati sulle navi. Ritornarono in Italia nel 1946, sconfitti e perplessi per una guerra inutile quando il Duce diceva <otto milioni di baionette>.    Purtroppo questo successe anche con la resa dell’Abissinia, generalmente i prigionieri vennero portati in  India.  Non mi sarei mai sognato che per tre anni, prima di lasciare l’Italia, nel 1954, avevo lavorato come autista per Mister Gutteridge, un ex ufficiale britannico residente a Villa Maria a Posillipo, Napoli. Meno male che lui era un vero signore e mi trattava bene! Ma durante la Guerra lui comandava e organizzava proprio la logistica dei prigionieri Italiani in India e Ceylon, come si chiamava lo Sri Lanka prima dell’indipendenza nel 1948.  Lungo la costa di Bentota c’era una linea ferroviaria a un binario, e io mi dilettavo a vedere la gente che frequentava questa ferrovia, come una strada pedonale, e io guardavo con tanta curiosità perché quando si avvicinava il treno scappavano come polli sbullacciati e poi ci ritornavano come prima. Poi quando vidi sulle News l’effetto dello <tsunami > del 2004 nell’Oceano causato dal terremoto lungo la costa di Sumatra, che provocò devastazioni in Tailandia e arrivò fino alla zona ovest dello Sry Lanka, dove la costa di Berntota e la laguna vennero sommerse e quel “famoso” treno completamente rovesciato, figuratevi come ci rimasi male!    Da Winchester, England  Roberto Matassa
Roberto Matassa
Anno 19, n. 90                                            Aprile 2014
Elefanti al lavoro
Temple Of The Tooth Kandi
The Rock of Sigirya
Piantagione di tè
Statua di Buddha
Pescatori a Bentota