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L’Eco di Roccasecca
"Latrati nella nebbia? A  Roccasecca Scalo? Come è possibile?" "Lo scalo ferroviario non era mica perso tra le brughiere del Devon e il Palazzone non era mica la residenza dei Baskerville dove poteva anche capitare, a qualche sfortunato viandante, di udire gli orrendi latrati dì un mastino provenire dalla nebbia notturna facendogli gelare il sangue nelle vene ", mi si osserverà.  No, calma, certo che non è possibile! Tutto accadeva, infatti, in mezzo a quella striscetta di terra nera di carbonella esausta  di cui ho già parlato, proprio sotto alle finestre di casa mia dove sì fermavano, ogni tanto, le vaporiere per fare acqua ed anche per qualche intervento di manutenzione. A volte l'ultimo. Quegli enormi mostri di acciaio si fermavano, per la precisione, su di una specie di binario morto che ora, chissà perché, è stato tolto e che aveva una fossa lunga e stretta tra le rotaie.   Una fossa che ricordava un poco quelle delle officine meccaniche di un tempo lontano, prima dell'avvento dei ponti sollevatori, e che servivano a lavorare più comodi sotto alle automobili, le poche che c'erano. Oggi anche quella fossa lunga e stretta, con entrambe le rotaie che le facevano da cornice, è sparita, nel senso che il buco è stato riempito e le rotaie smontate e portate via per farne chissà cosa. Forse rifonderle, non so. Eppure quella fossa lunga e stretta era, in tutta la sua modestia, un'opera ben fatta.  Era infatti sempre praticabile e pronta al suo scopo, nel senso che non ricordo di averla mai vista piena d'acqua neanche dopo quei temporali da paura, che anche a Roccasecca ogni tanto capitavano. Quella modestissima fossa mostrava così a tutti di avere drenaggi ben congegnati e ben tenuti. Come sarebbe bello se oggi fosse ancora così, e non solo per i drenaggi delle fosse ferroviarie! Se ancora oggi si mettesse un po' più dì attenzione nel congegnare bene e nel mantenere meglio tutte le cose, anche le più semplici e modeste.  Probabilmente qualcuno in più, magari di quelli che ogni tanto  rimangono intrappolati con l'automobile da qualche parte, potrebbe anche salvarsi e riportare a casa la pelle! Ma non voglio polemizzare con tutta questa dietrologia, voglio invece ricordare un’altra peculiarità di quel binario (Triste e solitario, avrebbe aggiunto in quegli anni qualcuno ricordando la celeberrima canzone di un certo Claudio Villa. Qualcuno se la ricorda?) dove le vaporiere arrivavano piano e restavano ferme per un poco.  Quel binario aveva infatti avuto il pregio di essere stato, per noi ragazzini del Palazzone, una inconsapevole, paziente palestra di ardimento.  Forse la prima.  La prova dì coraggio con la quale ci misuravamo consisteva in realtà nel saltare, dopo una breve rincorsa, dall'altra parte della buca cercando di non fallire l'obiettivo perché in quel caso c'erano serie probabilità di rompersi la testa. Arrivare sull'altra rotaia dopo un breve volo, immaginando magari di essere uno di quei cow-boys che inseguiti dai pellirosse riuscivano a salvarsi saltando dall’altra parte di un profondissimo canyon, questo era tutto il nostro spasso! Ma torniamo a bomba, cioè al titolo del racconto anche perché ci introduce ad uno dei tanti fatterelli che accadevano nel poco spazio che circondava il Palazzone e che tanto mi piace ricordare. Quest’ultimo dimostra tutta l’ingenuità di grandi e di piccini in quel tempo lontano. Un’ingenuità che vista con lo spirito e le disponibilità odierne potrà anche far sorridere. Si trattava del modo di fronteggiare una malattia fastidiosa ed in alcuni casi anche pericolosa; di porre in esser un rimedio di per sé piuttosto stravagante ma sulla cui efficacia nessuno aveva dubbi. La malattia, a quei tempi piuttosto comune tra i bambini ma pure  tra i più grandi, era le tosse convulsa, detta anche pertosse, che mi pare fosse chiamata anche tosse canina, ma non so se dappertutto. Mia nonna friulana la chiamava “toss cianina”. Ci si accorgeva che qualche bambino era colpito da questo male perché ad un tratto non riusciva più a bloccare i suoi attacchi, specie scendendo lungo la tromba delle scale dove tutti i rumori venivano amplificati. Figurarsi quindi quelle tossi stizzose e prolungate che diventavano dei veri e propri... latrati. Eccoquà spiegata la prima parola del titolo. (Lo so che si dovrebbe dire “Ecco qua”,  ma me piace scrivere quest’espressione tutto d’un fiato, così come esce di bocca .    Magari Pappagone avrebbe detto “Eqqueqqua!”). Quella tossaccia era poi anche contagiosa per cui se la prendeva uno alla fine la passava a tutti, o quasi, e in quei periodi il Palazzone sembrava essere diventato una specie di... canile municipale. Quegli attacchi così veementi e prolungati provocavano anche, nei piccoli malati, difficoltà di respirazione e, a volte, anche qualche piccola convulsione, ragione per cui le mamme erano davvero molto preoccupate. "E la cura? " Non ricordo, al momento, quali fossero i medicinali che venivano indicati dal Dottor Gazzellone che era medico condotto allo Scalo; senz'altro avrà prescritto quanto necessario ad una pronta guarigione ed allora certamente reperibile sul mercato.   Non ricordo neanche se quelle medicine fossero immediatamente disponibili nella farmacia che era sulla sinistra di Via Piave andando verso il bivio, probabilmente si. Non ricordo nemmeno se all'epoca si usassero prodotti galenici che abbisognavano di qualche tempo per la preparazione. Non ricordo neppure  se le mamme si rivolgessero imme-diatamente al medico per averle. (Lo so le incertezze sono molte e mettono a dura prova la pazienza di chi legge, ma preparano un po’ a quello che segue e che è assolutamente certo!)  Questo non posso proprio saperlo, eppoi è passato tanto di quel tempo! (Si, lo so che EPPOI è un errore, ma ancora una volta mi piace scrivere questo avverbio così. Come esce nel linguaggio parlato). Una cosa che so per certa – finalmente! -  è che le mamme, tutte le mamme, conoscevano un rimedio efficace se non ad eliminare per lo meno a lenire quella malattia così antipatica e fastidiosa. Era un rimedio piuttosto empirico e non antichissimo (certo non antecedente alla nascita di un certo Stephenson, costruttore, nel 1814,  di qualche cosa che poi si vedrà. ) che però abbisognava di un suo habitat molto particolare, una specie di… laboratorio open air. "Davvero? Ma che vai dicendo? E dov'era questo laboratorio? ", mi si chiederà.  Ebbene quel laboratorio era proprio in mezzo a quella misera striscetta di terra, nera di carbonella esausta, proprio sotto alle finestre di casa mia ecc. ecc. ecc. Occorreva però che ci fosse arrivata la locomotiva, una di quelle vaporiere nere e lucide col loro bravo omino, anche lui nero, e che si fosse fermata per un poco sulla lunga buca sempre asciutta tra le rotaie. "E come funzionava questo laboratorio?" Ecco, le mamme scendevano dalle loro case con in braccio i loro piccini latranti, magari avvolti in lungo uno scialle di lana, poi ad un loro cenno, o ad una specifica richiesta, non so, l'omino nero faceva uscire enormi sbuffi di vapore dai serbatoi della locomotiva dove era stato accumulato. Allora, come per incanto, tutto  diveniva bianco ed ovattato accanto alla locomotiva solitaria ed era come se su quel francobollo di terra nera fosse calata all' improvviso tutta la nebbia delle brughiere inglesi. Magari all'epoca "II mastino dei Baskerville” ancora non l'avevamo letto e forse non l'avevano neanche dato per televisione come poi senz'altro fecero quelli della RAI, ma noi bambini, con tutto quel vapore, fantasticavamo comunque di essere a Londra, o per lo meno a Milano. Le mamme, angosciate, camminavano avanti e indietro in tutto quel bianco e... "Respira figlio mio, respira forte!" dicevano ai loro piccini avvolti negli scialli. Gli altri bambini, quelli sani, si divertivano a perdersi scomparendo e ricomparendo in quella nebbia artificiale e il gioco e la cura andavano avanti così, finché era possibile. "E quanto durava quella cura fatta un po' per gioco? Un minuto? Un'ora?" Non so, quanto bastava. Poi la vaporiera si allontanava prima piano quindi sempre più velocemente e le mamme coi figli in braccio rientravano nelle loro case. Rimanevano a guardarsi, un po' frastornati nell'aria tornata trasparente, solo i bimbetti sani, con i capelli bagnati e tante goccioline d’acqua sulla pelle,  come di rugiada. La nebbia bianca e un po' appiccicosa che faceva credere di essere a Londra, o per lo meno a Milano, oramai era finita e forse era meglio così. Si dava inizio ad altri giochi e non ci si pensava più, per lo meno fino al ritorno della vecchia vaporiera ed anche... di un'altra ondata di tosse convulsa!   Renzo Marcuz 16 Febbraio 2014
Anno 19, n. 91                                            Giugno 2014
Latrati nella nebbia "A  Roccasecca Scalo? Come è possibile?"
Il celebre mastino, nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle
Piccolo malato di tosse convulsa  (immagine dal web)