Cinema che passione!  Primo tempo
Renzo Marcuz
Sito Promozionale di Cultura del Basso Lazio dell' Associazione onlus PRETA Via Sotto le mura snc - 03041 Alvito (FR) p.i. 02194120602 CIOCIARI.COM   © pretaonlus 2000-2010 - pretaonlus @ gmail.com
Anno 19, n. 95		                                           Marzo 2015 L’Eco di Roccasecca Non ricordo come si chiamasse il vecchio cinema di Roccasecca Scalo e credo che quella sala lunga e stretta, dove negli anni 50 venivano proiettati i film che noi ragazzini tanto attendevamo, forse un nome neanche l'abbia mai avuto. Ma questo, che per quei ragazzini non fu certo un problema, per me non lo sarà mai. Anche senza nome, infatti, come potrei dimenticare quella lunga, stretta, cara vecchia sala dove lo spettacolo veniva dato una sola volta a settimana, la domenica pomeriggio per la precisione?  Vedere quei film era… come una magia, capace di prenderti a portarti in mondi lontani e sconosciuti, e poco importava se la magia  iniziava, immancabilmente, con la proiezione del secondo tempo perché il primo, in quello stesso istante, dovevano incominciare a vederlo su in alto, al Paese. Pare infatti che di ogni pellicola ne esistesse una sola copia e che quindi la precedenza a vederla come si conviene, cioè iniziando dall’inizio, spettasse,  giustamente, agli spettatori della sala principale che, per l’appunto, erano quelli su in alto, a Roccasecca Paese.  Non c’è ironia né recriminazione in questi primi ricordi ma solo un divertito, affettuoso rimpianto. Con questo stesso spirito ho pensato di dividere la narrazione, di per sé un po’ lunghetta, in due parti, anzi, dato anche il soggetto, in due tempi. Volendo andare proprio per il sottile avevo anche pensato che il modo migliore per calarsi nello spirito del racconto e rivivere l’atmosfera dell’epoca avrei dovuto far leggere prima il secondo tempo e poi il primo. Ma forse sarebbe stato chiedere un po’ troppo!  Tornando al tema ricordo che anche in condizioni atmosferiche e di percorribilità stradale ottime, l'attesa del primo tempo era sempre lunga e noiosa, senza neanche la pubblicità di quanto si sarebbe proiettato in seguito come accadeva invece nei cinema più importanti. Non c’era nemmeno quella dei prodotti commerciali, tipo Carosello per intenderci, che però allora nelle sale  cinematografiche, forse neanche sì usava.  Se poi pioveva il motociclista, che  si chiamava Guglielmo e che faceva la spola tra le due  sale, cinque chilometri per l’esattezza, con le pizze di latta ficcate nei tasconi del suo rombante mezzo, avrà avuto ben diritto di ripararsi da qualche parte, magari sotto un ponte, ma non è che ce ne fossero molti. A pensarci bene, se si esclude quello all’incrocio con la Casilina che scavalcava, e continua a scavalcare la Melfa, forse neanche uno. E’ anche certo che ficcarsi sotto quel ponte lì, in caso di pioggia a dirotto con tuoni, fulmini e saette, sarebbe stato difficilissimo, quasi impossibile tant’era scomodo e distante. Forse allora si sarà rifugiato nell'androne di qualche caseggiato più grande, se lo trovava, o sotto il balcone di qualche casa che affacciava sulla strada, se c’era, oppure sotto la frondosa chioma di qualche quercia,  in roccaseccano cerqua, se era proprio ridotto alla disperazione. Chissà! E' certo, comunque, che l'attesa sembrava sempre interminabile ma questo, per noi bambini, non fu mai un problema; aspettavamo tranquillamente che si spegnessero le luci ed iniziasse la proiezione facendo un chiasso infernale e tutti seduti in seconda fila, at massimo in terza, proprio sotto allo schermo. In prima non era possibile poiché le poltroncine di legno, che quando ti alzavi si richiudevano da sole,  erano di fatto inutilizzabili. Le avevamo distrutte noi divertendoci a farle sbattere a ripetizione con i nostri piedini innocenti. Un autentico spasso!  Ma com'era fatto, dov'era il vecchio cinema dello Scalo che tanti ricordi ha lasciato nella mia memoria, per non parlare dei sogni e degli incubi che qualche pellicola riuscì anche a provocare? La struttura era quella di tutti i Magazzini Merci delle Ferrovie dello Stato, quelle che all’epoca si chiamavano  ancora l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, anche perché la sala altro non era che un magazzino dismesso delle ferrovie  posto proprio dietro al Dopolavoro Ferroviario da cui lo separava solo un piccolo giardino con annesso campo di bocce.  Lungo i lati della sala alcune porte, due o tre per parte. Dovevano essere le uscite di sicurezza che, tuttavia, erano sempre ben sprangate forse per evitare che qualcuno si imbucasse. Sul lato opposto allo schermo, ovviamente, la cabina di proiezione che mi pare funzionasse anche da botteghino. Proprio vicino alla cabina-botteghino tre o quattro gradini in pietra dove veniva messo un cavalletto con manifesto della pellicola in programma. Bagni non ce n'erano, per lo meno non ne ricordo, e quindi a chi gli scappava doveva tenersela. Non mi pare che esistessero altre soluzioni. Ma veniamo al racconto che, trattandosi di cinema, riguarda ovviamente le pellicole che si andavano a vedere. Per quelle di cowboy e di indiani gli spettatori erano per lo più ragazzini e giovanotti con qualche rara ragazzina o signorina e pochi adulti.  Quando lo spettacolo invece aveva come soggetto un tema più raffinato e culturalmente elevato, magari a sfondo storico o religioso, allora la sala si riempiva di un pubblico di ogni età e ceto sociale, un mix variegato con cospicue dosi di insegnanti e professionisti. 		 Ricordo bene, ad esempio, la sera in cui fu proiettato "Pia de' Tolomei", non so bene se fosse la pellicola del 1959, con attori importanti come Arnoldo Foà ed Ilaria Occhini, ma non credo,  o una precedente, forse quella del’41, con Carlo Tamberlani e Germana Polieri, ma chi se li ricorda? Quella sera la saletta stretta e lunga si riempì con il pubblico delle grandi occasioni, per lo meno per lo Scalo, e le signore alla fine, quando l'eroina esalò l'ultimo respiro gettandosi, o venendo gettata dalla torre, si commossero tutte. Si sentivano infatti, sempre tutte, un po’ Pie. Pie incomprese è chiaro! Aggiungo però immediatamente che le considerazioni sulle signore che si commossero per la storia della sventurata dama senese, cui il sommo Poeta dedicò sette versi tra i più belli della Divina Commedia, non vogliono assolutamente esprimere un giudizio di tipo machista. Cercano solamente di rappresentare quanto poteva passare per la mente, oltre mezzo secolo fa, a ragazzini di una diecina d’anni.  Per noialtri ragazzini, invece, quel film  fu solo una gran barba. Preferivamo vedere pellicole in costume, ma più di azione che d’amore, i western dove si sparava e magari anche i film  storici, che capitavano ogni tanto e che potevano durare fino a tre o quattro ore, anche se sempre per il discorso della pellicola che era una e del motociclista che doveva andare avanti e indietro, quei panettoni storici era meglio, andarli a vedere a Cassino. In treno, naturalmente.  Tra i film in costume, forse quello che mi è rimasto più impresso è “Il gobbo di Notre Dame”, pellicola del 1939 dove il ruolo principale, dì Quasimodo, fu interpretato da uno splendido Chartes Laughton. Avendo ricercato sul	 web tutte le edizioni cinematografiche dell'opera di Hugo sono ben certo che la pellicola proiettata a Roccasecca fosse proprio quella girata all'inizio della seconda guerra mondiale. Il perché di cotanta certezza? E' presto detto: quel diavolo di un Laughton interpretò così bene la sua parte di mostro sordo e sciancato ed il trucco fu realizzato con tanta maestria nel renderlo orrendo alla vista, che il vederlo sul telone della vecchia sala mi mise addosso una fifa tremenda.  Non  so perché tornai a casa da solo quella domenica sera, forse avrò voluto rivedere un'altra volta il secondo tempo o forse, per qualche strano motivo sarò rimasto inchiodato alla seggiola ribaltabile come affascinato. Non lo so. Ricordo solo che quando imboccai Via Domenico Torriero per tornare a casa fui preso da una paura folle. 	 Era una notte senza luna e forse c' era un poco di vento che faceva dondolare i due o tre lampioni attaccati agli angoli delle case e le ombre che questi proiettavano al suolo e sulle pareti faceva-no una strana danza e mi pareva che Quasimodo mi guardasse dall’alto dei tetti con quell’occhiaccio storto e che saltasse da una casa all’altra cercando solo l’occasione buona per ghermirmi. Feci una gran corsa lungo quel pezzo di strada deserta per raggiungere il Palazzone quella sera, e probabilmente la feci anche ad occhi chiusi rischiando di andare a rompermi la testa da qualche parte ma, tutto sommato, me la cavai e tutto finì per il meglio anche se non riuscii ad evitare i rimproveri, e forse qualcos'altro di più consistente, da parte dei miei che ormai da un pezzo mi stavano aspettando per la cena. Papà e mamma, però, non riuscirono a capire come mai quella sera, nonostante la ramanzina e tutto il resto, riuscissi a mantenere stampata sul viso un'aria così serena (l’aggettivo più adatto sarebbe, ovviamente, rassicurata).  Ma vogliamo parlare di qualche attore un po' più conosciuto? Di qualcuno che con un piccolo sforzo magari si ricorda ancore oggi? Ecco, quello che più mi piace richiamare alla memoria è un attore che tra le due guerre mondiali personificò più di ogni altro, a mio giudizio ovviamente, l’eroe western, ma forse anche l’eroe in senso assoluto. Parlo di Gary Cooper che aveva iniziato la sua carriera nel 1926 concludendola nel 1961. Ce lo ricordiamo tutti, vero? Certo che si!  Non conosco, ovviamente, il numero delle sue pellicole che furono proiettate nella saletta lunga e stretta che chiamavamo cinema, né ricordo esattamente quali anche perché “Mezzogiorno di fuoco”, con un’eburnea Grace Kelly, ad esempio, fu riproposta chissà quante volte negli anni sessanta, settanta e forse anche dopo.  Devo essere quindi ben certo prima di affermare che una particolare pellicola sia stata davvero proiettata a Roccasecca, e l’unico mezzo che ho è quello di ricordare quale noialtri ragazzini cercavamo poi di reinterpretare nei nostri giochi attorno al Palazzone.  Questo metodo, alquanto empirico, mi porta a citare una pellicola del 1830, “Marocco” si chiamava ed era interpretata, oltre che dal nostro, da una stupenda Marlene Dietrich. Eburnea al quadrato! Ricordo bene, infatti, che nei giorni successivi alla proiezione io, Nino, e qualche altro ragazzino non facevano altro che chiedere alle nostre mamme dei fazzoletti bianchi da attaccare al cappello, per chi ce l'aveva, e correre nei campi fingendoci legionari in mezzo al deserto del Sahara. 		 Mi sembra sufficiente come prova, no? Vorrei tanto continuare ma nella cara, vecchia saletta di Roccasecca Scalo si sono ormai riaccese le luci e sul telone consunto a malapena si legge la scritta Fine del primo tempo                                                                   Renzo Marcuz 9 settembre 2013
Il manifesto del ’41, dalle facce mi sembra quello giusto
Un manifesto dell’epoca
Eccolo, quel diavolo di un Quasimodo