L’Eco di Roccasecca - Anno 22 - n-ro 104
a U e mi fiondo con la moto verso il tipo che stava guadagnando la sua automobile. Lo intercetto quando ha già le chiavi dell’auto in mano e gli chiedo se è il titolare del bistrot. Lui assentisce e mi chiede se vogliamo mangiare. Io gli rispondo che vorremmo anche dormire. E lui “difficile a quest’ora ho appena chiuso”. Lo guardo e gli dico che siamo a corto di benzina e ormai è quasi buio. Allora il tizio, che poi scopriamo chiamarsi Jean Marc, ci pensa su, guarda la mia moto e dà un’occhiata a Bruno rimasto sulla strada ad aspettare. Poi mossosi a compassione si allontana verso una casa vicina e chiama a gran voce. Si affaccia una signore che evidentemente lavora per lui. Breve conciliabolo con la signora molto poco convinta ma alla fine si vede che Jean Marc la persuade. Risultato: cena assicurata ma lui ci dice “ho solo uova e insalata”, dunque omelette e qualche foglia di lattuga e soprattutto una camera con letto a castello. Per noi a quel punto andrebbe bene anche una rimessa agricola quindi un letto qualunque esso sia è una salvezza. Quando saliamo al piano di sopra per sistemarci scopriamo che si tratta di un appartamentino con il bagno diviso in due, da una parte il wc e dall’altra una minuscola vasca da bagno con annesso lavandino. Ma va bene tutto. Doccia semifredda, e via di sotto per la cena. Alla fine Jean Marc tira fuori anche un po’ di formaggio del posto e il vino locale. Niente di memorabile però, insomma, l’abbiamo sfangata. Cena frugale e poi due passi per il paesino. Scopriamo che la taverna che ci ospita si chiama “L’Equipe” ma al mattino successivo Bruno affacciandosi dal balconcino laterale scopre che in alto sulla facciata che dà verso la strada statale che attraversa Sant Jean d’Arves c’è ancora ben visibile la scritta nera “Poste et Télégraphe”. Nemmeno a farlo apposta. E tanto per completare il quadro “postale” il giorno precedente eravamo passati sul Col du Télégraphe. Invece quello che abbiamo davanti da scalare, in moto si intende, è il celeberrimo Col de la Croix de Fer. Un altro valico leggendario. Il Tour de France lo ha scalato per bene 16 volte, la prima nel 1947, la cima è a 2067 metri e quando arriviamo lassù scopriamo che la Croce di Ferro da cui prende il nome la montagna c’è davvero. Di lato al piccolo rifugio che accoglie anche noi, visto che siamo immersi nelle nuvole basse ad una temperatura non superiore ai 6 o 7 gradi. Purtroppo le nubi ci impediscono di godere del panorama che in condizioni normali abbraccia molte valli e cime alpine. In quanto a delizie visive però ci rifacciamo nella lunga discesa verso la valle d’Oisans. Alpeggi, tornanti mozzafiato, boschi, laghi in particolare quello del Verney parecchio esteso, dighe. Non ci accorgiamo nemmeno dei chilometri che scorrono sotto le nostre ruote e arriviamo a sfiorare Grenoble, capitale del Delfinato. La città alpina più grande d’Europa, davanti a Trento ed Innsbruck. La moto ci chiama ancora e via verso la valle dell’Oisans. Sino a che non ci ritroviamo a Bourg d’Oisans. Evitiamo l’Alpe d’Huez, rimandandone per motivi di tempo l’ascesa alla prossima occasione. Sosta a La Grave, altro paesino alpino incantevole a 1500 metri, sotto il ghiacciaio della Meije che praticamente incombe sull’abitato come un vero e proprio tetto. Le moto finalmente riposano e noi pure, nutrendoci dei prodotti locali. Per me solo formaggio, pane, vino e le magnifiche brioches. I salumi li lascio a Bruno. L’itinerario del giorno, sempre molto poco programmato, ci riporta all’ascesa del Col di Lautaret da un altro versante per poi ridiscendere verso Briançon ma stavolta piegando per la valle della Durance verso Gap. A Risoul abbandoniamo la strada di fondovalle e puntiamo di nuovo le moto verso l’alto: ecco che ad aspettarci c’è niente di meno che il col de Vars, 2111 metri di altitudine. Altro angolo di paradiso, altra salita storica sia per il Giro che per il Tour. Anche qui Coppi scrisse pagine memorabili. In cima ci fermiamo per goderci il panorama e sfamarci. Per rientrare in Italia ci aspetta un’altra salita di tutto rispetto: il Colle della Maddalena che sta praticamente dirimpetto al Vars. Il tempo di scoprire che il toponimo Vars viene dal latino “Varcium”, varco per l’appunto, e di dare uno sguardo al rifugio fatto costruire da Napoleone e giù in picchiata per una discesa altamente tecnica ed impegnativa. Quei tornanti che in gergo vengono definiti “ a tomba aperta”, cioè senza protezione alcuna. Se sbagli la traiettoria voli giù di sotto. Un po’ di prudenza non guasta anche se ogni tanto la smania di provare qualche piega più ardita prende il sopravvento. In fondo alla lunga discesa il paesino di Saint Paul sur Hubaye, un posto dove verrebbe voglia di fermarsi. Invece incombe l’ascesa al Colle della Maddalena dal versante francese (detto dai transalpini Col de Larche). (…continua) Stele di Fausto Coppi sulla Maddalena
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Un viaggio motociclistico. Ma ciclistico 4/5