L’Eco di Roccasecca - Anno 22 - n-ro 104
Barak mi sono subito sentito di casa. Cena, giratina in paese e poi a nanna per recuperare la stanchezza dei 744 chilometri di moto. Il giorno seguente partenza per la Francia risalendo la val Varaita sino ai 2748 metri del Colle dell’Agnello, dopo lo Stelvio il passo stradale più alto d’Italia. Sempeyre è il capoluogo della valle, piccola sosta ristoratrice. Poi il passo che nella storia più recente del Giro d’Italia è stato spesso un protagonista decisivo. Quindi lo scollinamento e il tuffo verso la Francia nella valle d’Arviers per poi di nuovo risalire verso la cima di un autentico gigante: l’Izoard. Un’ascesa emozionante in un paesaggio dapprima alpestre ma poi desertico che trova il suo culmine nella famosa “Casse Deserte” un luogo che desolato è dir poco. La Casse Deserte sull’Izoard Impressionanti pietraie e giganteschi massi appuntiti da un lato, lo strapiombo dall’altro. Strada, toponomastica, luoghi da sempre intravisti in tv durante il Tour de France. Il monumento a Bobet e Coppi, che resta forse l’unico italiano amatissimo anche dai francesi. Poi la picchiata verso valle e l’arrivo a Briançon, l’antica romanica Brigantium città fortezza con le sue fortificazioni realizzate nel Seicento dal marchese di Vauban, uno dei più illustri ingegneri militari francesi, per difendersi dagli Austriaci. Una piccola città dal fascino intenso sia per la sua struttura e le sue vestigia che per la collocazione ai piedi dell’Izoard e del Monginevro ma anche porta verso la Savoia. Dopo al visita a Briançon si rimonta in sella e via verso il Col du Galibier passando per la stazione sciistica di Serre Chevalier e poi per l’ascesa al Col du Lautaret. Dalla cima del Lautaret a quota 2058, che ritroveremo a ritorno chiudendo l’itinerario circolare fra Savoia e Isère, imbocchiamo la deviazione verso il Galibier. Scalato da questo versante, meno terribile dell’altro che scende a Valloire, la salita si presenta costante su una pendenza media dell’8% ma lunghissima. La strada si snoda come un serpente adagiato sui fianchi della montagna, la prospettiva aperta aumenta la sensazione di una fatica infinita. Ovviamente noi in moto di fatica ne facciamo poca, ma arrivati sul falsopiano dello Chalet in prossimità del famoso tunnel che buca la vetta (quota 2.556) ci fermiamo in prossimità del monumento a Henry Degranges ideatore del Tour de France. Un’opera realizzata proprio qui a suggellare il significato simbolico di questa montagna per la corsa francese. Poi l’ultima rampa con pendenze durissime che porta al valico sovrastante il traforo. Foto di rito, ma soprattutto arrampicatina a piedi per raggiungere il belvedere posto a 2704 metri. Dopo esserci rinfrancato lo spirito con una vista straordinaria sulle tante cime circostanti, peccato non aver potuto vedere sino al Monte Bianco a causa delle nubi che sono arrivate ad avvolgerci, si imbocca la discesa e si punta verso Valloire. Ci sono 18 km che spaventano già fatti in discesa. A 5,5 dalla vetta sul versante di Valloire a quota 2301 sorge la stele che ricorda Marco Pantani nel punto dove il campione romagnolo attaccò Ullrich nell’ormai leggendaria quindicesima tappa del Tour 1998. Quel giorno Pantani che accusava un ritardi di oltre tre minuti dal campione tedesco, se ne andò via da solo a 70 km dal traguardo e da solo arrivò al traguardo del Deux Alpes. Ullrich arrivò con un ritardo di otto minuti e rotti e pantani pose la pietra fondamentale per la sua più grande vittoria portando la maglia gialla a Parigi. Dopo l’omaggio a Pantani arriviamo a Valloire, paesino montano ancora pieno di villeggianti 18 km sotto la vetta del Galibier ma poi si ricomincia a salire verso il Col du Tèlègraph. Altra salitina niente male. L’intenzione iniziale è di fermarsi a San Jean de Maurienne alla fine della discesa dal Tèlègraph sulla strada che porta a Modane e poi in Italia attraverso il Frejus ma la nostra precisa filosofia di viaggio non prevede tappe prefissate o prenotazioni. Così sulle ali dell’entusiasmo decidiamo di proseguire affrontando un’altra montagna il Col du Mollard pensando di trovare nel villaggio turistico in cima un posto per pernottare. Giunti sul posto però dopo 18 km di ascesa con una quarantina di tornanti mi fermo a chiedere a gente del posto, ci indicano l’unico albergo che dovrebbe essere ancora aperto ma quando ci presentiamo scopriamo che proprio da quel giorno è fuori servizio. Ce lo dice la ragazza addetta alla reception che pure è aperta. Intanto sono le 20 passate, in Francia fa notte più tardi per fortuna ma siamo pur sempre a 1880 metri in mezzo alle montagne e senza un posto per dormire. La ragazza da me sollecitata ci prova a chiedere alla proprietaria se ci possono ospitare ma senza esito. Spietati. Non gliene frega nulla. Non ci resta che risalire in sella. Chiedo a Bruno: “Torniamo indietro o andiamo avanti?”. E lui “sempre avanti”. Verso l’ignoto. Dopo un altro tentativo di ottenere ospitalità presso un B&B, pure chiuso, ci inoltriamo per la discesa verso la valle dell’Arves. Per giunta Bruno mi comunica che gli sono rimasti trenta chilometri scarsi di autonomia. Il buio incombe e io comincio a dare uno sguardo interessato a paglia e stalle che si intravedono dalla strada. In fondo un ricovero di fortuna potremmo trovarlo per non restare all’addiaccio. Ma la fortuna si sa aiuta gli audaci e proseguendo poco prima delle 21 troviamo un piccolissimo centro abitato. Si tratta di Sant Jean d’Arves. All’ingresso c’è una malconcia pompa di benzina e quindi rifornimento assicurato. Almeno un problema è risolto. Poi nell’attraversamento del paesino scorgo con la coda dell’occhio una specie di bistrot con le luci spente dal quale sta uscendo un signore. Mi blocco, inversione (…continua)  
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Un viaggio motociclistico. Ma ciclistico 3/5