Barak mi sono subito sentito di casa. Cena, giratina in paese e poi a nanna per
recuperare la stanchezza dei 744 chilometri di moto. Il giorno seguente partenza per
la Francia risalendo la val Varaita sino ai 2748 metri del Colle dell’Agnello, dopo lo
Stelvio il passo stradale più alto d’Italia. Sempeyre è il capoluogo della valle, piccola
sosta ristoratrice. Poi il passo che nella storia più recente del Giro d’Italia è stato
spesso un protagonista decisivo. Quindi lo scollinamento e il tuffo verso la Francia
nella valle d’Arviers per poi di nuovo risalire verso la cima di un autentico gigante:
l’Izoard. Un’ascesa emozionante in un paesaggio dapprima alpestre ma poi desertico
che trova il suo culmine nella famosa “Casse Deserte” un luogo che desolato è dir
poco.
La Casse Deserte sull’Izoard
Impressionanti pietraie e giganteschi massi appuntiti da un lato, lo strapiombo
dall’altro. Strada, toponomastica, luoghi da sempre intravisti in tv durante il Tour de
France. Il monumento a Bobet e Coppi, che resta forse l’unico italiano amatissimo
anche dai francesi. Poi la picchiata verso valle e l’arrivo a Briançon, l’antica romanica
Brigantium città fortezza con le sue fortificazioni realizzate nel Seicento dal marchese
di Vauban, uno dei più illustri ingegneri militari francesi, per difendersi dagli
Austriaci. Una piccola città dal fascino intenso sia per la sua struttura e le sue
vestigia che per la collocazione ai piedi dell’Izoard e del Monginevro ma anche porta
verso la Savoia. Dopo al visita a Briançon si rimonta in sella e via verso il Col du
Galibier passando per la stazione sciistica di Serre Chevalier e poi per l’ascesa al Col
du Lautaret. Dalla cima del Lautaret a quota 2058, che ritroveremo a ritorno
chiudendo l’itinerario circolare fra Savoia e Isère, imbocchiamo la deviazione verso il
Galibier. Scalato da questo versante, meno terribile dell’altro che scende a Valloire, la
salita si presenta costante su una pendenza media dell’8% ma lunghissima. La
strada si snoda come un serpente adagiato sui fianchi della montagna, la prospettiva
aperta aumenta la sensazione di una fatica infinita. Ovviamente noi in moto di fatica
ne facciamo poca, ma arrivati sul falsopiano dello Chalet in prossimità del famoso
tunnel che buca la vetta (quota 2.556) ci fermiamo in prossimità del monumento a
Henry Degranges ideatore del Tour de France. Un’opera realizzata proprio qui a
suggellare il significato simbolico di questa montagna per la corsa francese. Poi
l’ultima rampa con pendenze durissime che porta al valico sovrastante il traforo. Foto
di rito, ma soprattutto arrampicatina a piedi per raggiungere il belvedere posto a
2704 metri. Dopo esserci rinfrancato lo spirito con una vista straordinaria sulle tante
cime circostanti, peccato non aver potuto vedere sino al Monte Bianco a causa delle
nubi che sono arrivate ad avvolgerci, si imbocca la discesa e si punta verso Valloire.
Ci sono 18 km che spaventano già fatti in discesa. A 5,5 dalla vetta sul versante di
Valloire a quota 2301 sorge la stele che ricorda Marco Pantani nel punto dove il
campione romagnolo attaccò Ullrich nell’ormai leggendaria quindicesima tappa del
Tour 1998. Quel giorno Pantani che accusava un ritardi di oltre tre minuti dal
campione tedesco, se ne andò via da solo a 70 km dal traguardo e da solo arrivò al
traguardo del Deux Alpes. Ullrich arrivò con un ritardo di otto minuti e rotti e pantani
pose la pietra fondamentale per la sua più grande vittoria portando la maglia gialla a
Parigi. Dopo l’omaggio a Pantani arriviamo a Valloire, paesino montano ancora pieno
di villeggianti 18 km sotto la vetta del Galibier ma poi si ricomincia a salire verso il
Col du Tèlègraph. Altra salitina niente male. L’intenzione iniziale è di fermarsi a San
Jean de Maurienne alla fine della discesa dal Tèlègraph sulla strada che porta a
Modane e poi in Italia attraverso il Frejus ma la nostra precisa filosofia di viaggio non
prevede tappe prefissate o prenotazioni. Così sulle ali dell’entusiasmo decidiamo di
proseguire affrontando un’altra montagna il Col du Mollard pensando di trovare nel
villaggio turistico in cima un posto per pernottare. Giunti sul posto però dopo 18 km
di ascesa con una quarantina di tornanti mi fermo a chiedere a gente del posto, ci
indicano l’unico albergo che dovrebbe essere ancora aperto ma quando ci
presentiamo scopriamo che proprio da quel giorno è fuori servizio. Ce lo dice la
ragazza addetta alla reception che pure è aperta. Intanto sono le 20 passate, in
Francia fa notte più tardi per fortuna ma siamo pur sempre a 1880 metri in mezzo
alle montagne e senza un posto per dormire. La ragazza da me sollecitata ci prova a
chiedere alla proprietaria se ci possono ospitare ma senza esito. Spietati. Non gliene
frega nulla. Non ci resta che risalire in sella. Chiedo a Bruno: “Torniamo indietro o
andiamo avanti?”. E lui “sempre avanti”. Verso l’ignoto. Dopo un altro tentativo di
ottenere ospitalità presso un B&B, pure chiuso, ci inoltriamo per la discesa verso la
valle dell’Arves. Per giunta Bruno mi comunica che gli sono rimasti trenta chilometri
scarsi di autonomia. Il buio incombe e io comincio a dare uno sguardo interessato a
paglia e stalle che si intravedono dalla strada. In fondo un ricovero di fortuna
potremmo trovarlo per non restare all’addiaccio. Ma la fortuna si sa aiuta gli audaci e
proseguendo poco prima delle 21 troviamo un piccolissimo centro abitato. Si tratta di
Sant Jean d’Arves. All’ingresso c’è una malconcia pompa di benzina e quindi
rifornimento assicurato. Almeno un problema è risolto. Poi nell’attraversamento del
paesino scorgo con la coda dell’occhio una specie di bistrot con le luci spente dal
quale sta uscendo un signore. Mi blocco, inversione
(…continua)
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Un viaggio motociclistico. Ma ciclistico 3/5