Storie roccaseccane

Quel biglietto ferroviario

Roccasecca-Singapore

 

Una significativa immagine di Singapore

(foto di AngeloScienziato)

Questa è la storia di un tizio che ebbe la malaugurata idea di chiedere un biglietto ferroviario per Singapore (!) alla biglietteria della stazione di Roccasecca. Il solerte impiegato, dopo aver scartabellato su tutti gli orari possibili, per niente impressionato dalla richiesta, consigliò al viaggiatore di prendere un biglietto "locale" Roccasecca-Roma – che avrebbe pure risparmiato - e successivamente quello per Singapore direttamente nella capitale. Non siamo sicuri che il richiedente abbia fatto realmente come suggeritogli, ma la vicenda ha avuto comunque un gustoso seguito, anni dopo, sia pure indirettamente. Era una giornata piatta, monotona, di quelle in cui in un paese come Roccasecca sembra non debba succedere nulla. Alla stazione, di ritorno da un lungo giro che lo aveva portato nel Profondo Sud (Australia e Nuova Zelanda) scende dal treno il nostro Angelo Scienziato. Non fa in tempo a riassaporare odori e suoni della terra natìa che qualcuno gli chiede: "Uè, Scienzià, daddò arrive?" E il nostro, per non perdere tempo a dare troppe spiegazioni dopo il lungo viaggio, e avendo voglia soltanto di correre a casa, rispose velocemente: "Vengo da Singapore" e si allontanò rapidamente verso casa. Ma dal gruppo di persone presenti si levò, distintamente, una voce fuori dal coro, che pose la seguente domanda: "E chi gliel’ha fatte gliu bigliette a chiss?". Della serie Siamo sempre all’erta, non ci sfugge niente e vigiliamo anche a distanza di anni. Tutto questo può succedere soltanto "Ai confini della realtà" o "Alla Stazione di Roccasecca".

 

 

Modi di dire roccaseccani

Ie te canùsce pìre

 

Tra una chiacchiera ed un bicchiere di birra al Pub, Gianfranco ha rispolverato di recente alcuni aneddoti e modi di dire della nostra città. Ve ne proponiamo uno tra i tanti.

E’ proverbiale a Roccasecca il modo di dire "Ie te canùsce a te", mentre è meno nota la sua versione modificata in "Ie te canùsce pìre",che vi andiamo a raccontare. C’era dunque un contadino che aveva un albero di pere proprio al centro del suo campo. La posizione del pero di cui stiamo parlando non era delle più felici ed il contadino doveva girarci intorno, ogni volta che seminava sul suo terreno. Quando lavorava con l’aratro il fastidio era ancora maggiore, ma egli ben lo sopportava nella speranza di poter ottenere un bel raccolto di frutti. Ma gli anni passarono senza che quell’albero si decidesse a dare una sola pera. E venne il giorno che il contadino, sfiduciato e seccato per quel pero che gli dava solo fastidi senza peraltro procurargli benefici, si decise a levarlo di mezzo. Mentre lo stava tagliando con l’accetta, si trovò a passare il parroco, il quale gli chiese per quale motivo stesse eliminando quella pianta. "Perché nen serve a niende!" rispose il contadino, e aggiunse "Pigliatèlla tu, i faccie chelle che te pare". Il prete caricò il pero sul suo carretto e lo portò in parrocchia, quindi chiese a un falegname di ricavarne un crocifisso che sistemò in chiesa. Passarono altri anni, il contadino aveva dimenticato quell’albero che ora, sotto vesti ben più importanti, stava ritto accanto all’altare. Trovandosi in angoscia per alcuni suoi problemi personali, il vecchio possessore del pero si recò in chiesa a pregare e si inginocchiò davanti all’altare. Mentre pregava, guardando attentamente il crocefisso, gli sembrò di rivedere in lui qualcosa di familiare, finché lo riconobbe. A quel punto interruppe la sua accorata preghiera, e proruppe con la famosa frase:

"Ie te canùsce pìre",

E così, convinto che chi non gli aveva mai dato un frutto quando era un pero, non avrebbe potuto fargli una grazia neanche ora che aveva cambiato il suo aspetto, sconsolato, il contadino tornò mestamente a casa, nella certezza che quel pero lo avesse ingannato due volte!

 

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