CULTURA

 

Da una raccolta di scritti sulla Ciociaria del 1966, vi proponiamo una descrizione della Val Comino, scritta da Giulio Prudenzio nel XVI° secolo, commentata da Luigi Alonzi.

 

Santo Donato che non porta in groppa

Un uomo di corte del decimosesto secolo, Giulio Prudenzio di Alvito, ritiratosi in vecchiaia nel paese natale, primo tra i suoi conterranei, scrisse una « Descrittione d'Alvito et suo Contato, raccolta parte dal trovato, parte dal visto et parte dallo inteso nel 1574 ». Nipote dell'umanista Mario Equicola, anch'egli "alvitano" esperto di uomini e cose per esser vissuto al seguito di Federico Gonzaga e di Vittoria Colonna, il Prudenzio dedicò la sua monografia a Don Antonio Cardona, dal 1574 al 1592 signore di Alvito e della contea omonima, sensibilmente estesa in quegli anni e tale da comprendere, oltre il territorio del capoluogo, quelli di San Donato, Atina, Settefrati, Picinisco, Gallinaro, Vicalvi, Campoli, Posta e Belmonte.

Sentiamolo un po' a proposito d'uno di questi luoghi, tra i più pittoreschi della Val Comino; anche perché la sua prosa, a differenza di quella dello zio nel « De natura de amore », ingombra di erudizione e affaticante, benché precorritrice delle dottrine platoniche sull'amore di Leone Ebreo e di Pietro Bembo, si offre al lettore per quello che veramente è: una esposizione alla buona, recitata strada facendo, durante una passeggiata col suo protettore.

« Santo Donato — così Giulio Prudenzio — è terra di passo, et ebbe principio da Itri, dove ancor hoggi l'una terra con l'altra se portano affettione, et se usa tra essi certa libertà et franchigia. Ha di quelli che vengono da buona parte et gran nobili... Ha dottori bene appregiati (di buona posizione sociale), con offici in Roma, dove honoratamente resedono. Ha medici, chirurghi et remedianti (conoscitori di rimedi contro mali et malìe i « maghi », di cui la Valle va piena), notai lealissimi et altri buoni letterati. Tutti sono robusti stentati (resistenti alle fatiche) et dediti al guadagno; non portano in groppa, sono leali et osservatori delle promesse: accarezzano paesani et forastieri cortesemente et liberalmente. Nel dì di Santo Donato poche sono le casate che non facciano apparecchi per quanti della terra o forastieri vorranno andare a mangiarvi, et quello se reputa più honorato che più ne accoglie. Vi concorre gente pur assai sì del contado, come d'Abruzzo, dell'Abbatìa di S. Germano, Sora et Arpino, et pare a loro che quanto più spendono, più se li accresca d'ogni bene et sanità: officio veramente laudabile di persone caritative, timorate de Dio et che amano il prossimo. Ha buon territorio, ma la maggior parte sono d'alvitani, della corte et delle chiese (vasto il territorio, ma quasi tutto nelle mani del feudatario, dei nobili e delle parrocchie). Però essi di notte et giorno tanto si travagliano che non si lasciano mancar cosa alcuna necessaria al sustentarsi. Ha buone chiese tuttavia più accomodate et ornate, con preti assai letterati, restretti (non bighelloni) et di buona coscientia et conversatione. Di vini più presto ne vendono che ne abbiano bisogno, et sono singularissimi et freschi. Pàteno d'acqua, ma la sollicitudine ne li aiuta, non meno che alcune cisterne che vi sono, et già se ne fanno tuttavia. Vi è una assai bella mano di giovani appariscenti et ben disposti (cioè aitanti), atti allarmi et a qual se sia esercitio... Infine in Santo Donato si vive et si sta bene, crescendo sempre in letterati et accomodarsi di stàntie ».

Come «descrittione» colata dalla penna di un cortigiano del decimosesto declinante, l'età della Controriforma, a noi sembra equilibrata a bastanza. Semmai, qualche pennellata di azzurro in sopra di più, messa a coprire nuvole e nuvolette che pure dovevano affacciarsi sulla cima di Forca d'Acero o sulle creste della Meta. Ma Giulio Prudenzio scriveva per gli svaghi letterari del signore del luogo, per l'ultimo suo protettore ed amico. E poi, poco avvertito di questioni economiche, poco o niente poteva capire della presenza in Alvito e in San Donato dei numerosi « mercatanti nobili fiorentini », che "prestano a larga mano et sanno tener cura de loro, tal che con la loro industria et sapere sono fatti ricchissimi". (Sullo stato sociale ed economico della Valle, dirà da par suo Giuseppe Maria Galanti, più tardi, allo scadere del Settecento). Gioiva di cuore per quei del paese che il dì di Santo Donato, ai sette di agosto, mettevano a tavola per quanti della terra e di fuori volessero devotamente sedersi; ché questo, per il cortigiano Giulio Prudenzio, è a ufficio veramente laudabile di persone caritative ».

Eppure i montanari della sua contrada, i sandonatesi "che non portano in groppa", gli sollevano i precordi; e vuol ricordarli quasi a rifarsi di tanti inutili baciamano, di tante frasi condite di nulla, di tanti ossequientissimi inchini che gli avranno incurvìto la schiena' assai più che non gli anni, povero vecchio. Esatto esatto come Don Abbondio, che giusto a quel tempo doveva essere già al mondo.

Perciò il brano che s'è riportato a svago del lettore, e che da quando venne scoperto in Atina tra le carte della Famiglia Visocchi, è stato un po' come la pompa che ha gonfiato il petto degli storici locali, della Valle come del Sorano, spinse anche noi, dopo la lettura, a socchiuder le ciglia e ad avvertire una sorta di confusione mentale, di disagio interiore. Questione di temperamento.

Comunque, siamo d'accordo col cavaliere Giulio Prudenzio uomo di corte, e con tutti gli storici della Valle, che c'è un crescendo di letterati e "un accomodarsi di stàntie", lì si vive e si sta bene.

 

Una vecchia cartolina di Atina